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giovedì 19 marzo 2009

Professionisti ed IRAP



I professionisti sono soggetti all'Irap quando nella loro attività si avvalgono di collaboratori, effettuano investimenti economici e utilizzano sofisticate strutture informatiche, che da soli sono idonei a creare un «quid pluris» di capacità contributiva e un valore aggiunto tassabile. Lo ha affermato la Commissione tributaria regionale di Roma, seconda sezione, con la sentenza 21 del 20 gennaio 2009.

Un'altra sentenza sfavorevole in materia di IRAP per i professionisti. La commissione tributaria regionale di Roma di cui sopra è riportata la massima e sotto la sentenza integrale si è pronunciata in maniera sfavorevole al professionista in tema di assoggettabilità all'IRAP in materia di lavoro autonomo, in quanto per la Commissione citata l'utilizzo di strutture informatiche sofisticate e/o investimenti economici significanti, bastano da soli a far scattare il " quid pluris" di maggior capacità contributiva che assoggetta di conseguenza il contribuente all'IRAP.

Sent. n. 21 del 20 gennaio 2009 (ud. del 19 dicembre 2008) della Comm. trib. reg. di Roma, Sez. II - Pres. Cellitti, Rel. Moscaroli Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) - Soggetti passivi -
Esercenti arti e professioni – articoli 2 e 3, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 - Presupposto - Autonoma organizzazione - Nozione

Fatto e Diritto - Con ricorso avanti alla Commissione tributaria provinciale di Roma il sig. Mo.Eu. impugnava la cartella di pagamento emessa, ad istanza dell'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Roma 2, a seguito
di controllo formale ex articolo 36 bis del DPR 600/73 della dichiarazione dei redditi anno 2003 e portante l'iscrizione a ruolo dell'importo complessivo di Euro 12.651,68 per omessi versamenti IRPAP.
Il contribuente esponeva di non essere assoggettabile a detta imposta in quanto nella sua attività professionale di ingegnere libero professionista non era riscontrabile alcuna struttura organizzativa, tale da configurare potenzialità economica produttiva.
L'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Roma 2, costituendosi in giudizio, contestava le argoment32ioni del contribuente e chiedeva il rigetto del ricorso.
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 89/20/08 deposita il 10/03/2008, respingeva il ricorso.
Avverso questa decisione propone appello il contribuente ribadendo l'inesistenza delle condizioni per la sua assoggettabilità all'imposta IRAP.
L'Ufficio, costituendosi nel grado, rileva la mancata formulazione, da parte dell'appellante, di censure dirette contro l'operato dei primi giudici. Chiede pertanto, in via pregiudiziale declaratoria di
inammissibilità dell'appello, in subordine la conferma della impugnata decisione.
Va pregiudizialmente respinta l'eccezione, sollevata dall'Ufficio, di inammissibilità dell'appello per assenza di censure dirette alla sentenza di primo grado.
La ripropostone da parte dell'appellante delle eccezioni sollevate in primo grado e non accolte dalla Commissione tributaria provinciale, ha l'implicita valenza di censura all'operato dei giudici che hanno emesso la sentenza che il contribuente ha inteso di impugnare.
Va pertanto esaminato l'aspetto sostanziale della vertenza.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, nel confermare la legittimità costituzionale della legge istitutiva dell'IRAP, per la quale (art. 2 del D.Lgs. 446/72) il presupposto dell'imposta é l'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla
produzione e allo scambio di beni o servizi, ha posto l'accento sul
requisito dell'organizzazione rilevando che "mentre l'elemento organizzativo
è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per
quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo", per cui l'imposizione è da
escludere "nel caso di un'attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione".
La stessa Corte, con ordinanza n. 124 del 26 marzo 2003, ha precisato
che "tale norma è pienamente conforme ai princìpi di eguaglianza e di
capacità contributiva" in quanto essa determina l'assoggettamento ad imposta
del valore aggiunto prodotto da un'attività autonomamente organizzata, sia
di carattere imprenditoriale sia di natura professionale, "identica essendo,
in entrambi i casi, l'idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta".
L'art. 3 del citato D.Lgs indica, tra i soggetti passivi tenuti ai
pagamento dell'imposta, anche quelli che esercitano arti e professioni. Non
c'è subbio quindi che anche il libero professionista sia tenuto ad assolvere
l'imposta, qualora peraltro ricorra il presupposto dell'art. 2 di un'attività autonomamente organizzata.
E proprio in merito all'attività di lavoro autonomo la c.c. ha sancito
che la presenza o l'assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui,
in assenza di specifiche disposizioni normative, sia una condizione da verificare in via di fatto.
L'Amministrazione sostiene che la sentenza emessa dal Giudice delle
leggi deve essere correttamente interpretata, onde evitare esclusioni
d'imposta che i supremi giudici non hanno inteso determinare.
In sostanza il campo di esenzione delineato dalla Consulta deriva da una
corretta interpretazione della normativa IRAP che, postulando tra i
presupposti impositivi il requisito dell'autonoma organizzazione, non poteva
applicarsi a soggetti la cui attività risulti in concreto del tutto priva di
una pur minima forma organizzativa. Peraltro, l'aver ricompreso all'art. 3
delle legge istitutiva tra i soggetti d'imposta gli esercenti attività di
lavoro autonomo, significa che ti legislatore aveva riconosciuto in tali
forme di attività quel minimo di profilo organizzativo idoneo a far nascere
il presupposto impositivo. Il fatto che la disciplina dell'imposta sia nel
suo complesso passata al vaglio della Consulta, fa ritenere che l'attività
di lavoro autonomo includa in sé quel minimo di organizzazione che
giustifica l'applicazione dell'imposta. Pertanto il requisito
dell'organizzazione connoterebbe e sarebbe presente in tutti i soggetti
passivi previsti nell'art. 3, onde l'elencazione dei soggetti passivi altro
non sarebbe che un'esplicita indicazione delle ipotesi in cui viene
esercitata un'attività autonomamente organizzata.
Secondo l'Amministrazione quindi i giudici della Consulta avrebbero
inteso escludere la sussistenza del presupposto impositivo solo laddove
l'aspetto organizzativo risulti assolutamente carente (così dovrebbe
interpretarsi la locuzione "in assenza di elementi di organizzazione") e
quindi soltanto quando sia del tutto assente qualsivoglia tipo di
organizzazione. Ciò si verificherebbe soltanto nei casi di un'attività
esercitata solo occasionalmente oppure avvalendosi di un'organizzazione altrui.
Ritiene la Commissione che questa tesi massimalista (che tenderebbe ad
un generale assoggettamento all'imposta di tutti i lavori autonomi con
esclusione di quelli occasionali e di quelli inseriti in altra
organizzazione) non sia rispondente ai principi che la Consulta ha inteso fissare.
Che tali soggetti siano esclusi dalla disciplina IRAP discende in tutta
evidenza dalla legge istitutiva secondo la quale presupposto dell'imposta è
"l'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata". Sono quindi
per principio esclusi i lavoratori autonomi occasionali e quelli che sono
inseriti in altre organizzazioni, per cui una conferma interpretativa della Consulta non avrebbe ragion d'essere.
I giudici delle Leggi, nel ribadire la natura reale dell'imposta, hanno invece inteso affermare che, proprio per il valore aggiunto che può discendere da un'organizzazione del lavoro (che è poi quello che si è voluto
separatamente tassare) esistono dei profili di lavoratori autonomi
(professionisti} nei quali non sono presenti elementi di organizzazione che
giustifichino l'applicazione dell'imposta. La Corte ha altresì sancito che,
in assenza di specifiche disposizioni normative, l'indagine circa l'esistenza di tali elementi è questione di fatto che va sottoposta, di volta in volta, al vaglio del giudice tributario.
Detto quindi delle condizioni di legittimità dei tributo secondo il dettato costituzionale, occorre in concreto definire il concetto di "organizzazione", quale entità di per sé idonea a creare valore aggiunto
tassabile, per poi accertare se nel caso concreto tale organizzazione sia presente.
Ad avviso di questa Commissione il concetto di "organizzazione" deve
intendersi come "organismo economico" astrattamente in grado di funzionare,
che si aggiunge al contributo lavorativo personale del professionista e
contribuisce autonomamente al risultato complessivo dell'attività
professionale.
Le prestazioni professionali sono infatti caratterizzate dalla
personali2zazione dell'attività resa dal professionista, in quanto nascono
da un rapporto che è squisitamente fiduciario. Per quanto concerne poi le
professioni protette (quelle cioè per l'esercizio delle quali è necessaria
l'iscrizione all'albo professionale) queste sono inscindibilmente legate
alla presenza ed all'opera del libero professionista, onde l'organizzazione
è sempre funzionale allo svolgimento dell'attività nella quale l'apporto
personale resta assolutamente prevalente.
Non riuscire a dare un valore ed un significato autonomo al concetto di
3
"organizzazione del lavoro professionale" può portare al rischio di
percorrere una linea minimalista per cui l'imposta non sarebbe mai dovuta
dal professionista la cui attività non potrebbe mai essere spersonalizzata,
proprio perché imprescindibile, dipendendo sempre dall'intuitus personae che
è alla base di qualsivoglia rapporto professionale con il cliente. I
sostenitori di questa tesi sostengono infatti che, per quanto ampia e
sofisticata sia l'organizzazione, sarà sempre e comunque necessario fare
riferimento alla presenza personale del professionista abilitato perché
l'attività possa effettivamente svolgersi.
Appare evidente invece che una organizzazione del lavoro, in quanto
presente, diventa un fattore di produzione, creando di per sé ricchezza
generata e quindi in maggior reddito per il professionista. Questa
ricchezza, rappresentando valore aggiunto, è sicuramente presupposto per
l'applicazione dell'imposta.
E' facilmente intuibile che un'attività che richiede la presenza di
personale dipendente (impiegati, segretarie), di collaboratori o
tirocinanti, oppure di sofisticate attrezzature informatiche, di
investimenti economici, di crediti bancari, è in maniera concreta correlata
con tutti questi fattori aggiunti, i quali, anche se non congiuntamente
presenti, hanno comunque la ragion d'essere proprio in quanto idonei di
perse a creare valore. In questa situazione l'apporto personale del
professionista, che resta in ogni caso prevalente, è fortemente
condizionato, nel risultato da garantire al cliente, dalla qualità della
organizzazione del lavoro.
L'organismo economico, come sopra individuato, è astrattamente in grado
di funzionare autonomamente, proprio perché ha in sé i meccanismi idonei
allo scopo, senza che il professionista ne determini di volta in volta gli
automatismi o gli aspetti operativi (solo inizialmente definiti nella logica
di una programmazione complessiva dell'attività da svolgere) a prescindere
dalla resa concreta di attività da parte del professionista. Poiché quindi
l'organizzazione è idonea da sola a creare valore e quindi reddito, che si
aggiunge a quello proveniente direttamente dal professionista, esistono le
condizioni volute dai legislatore per l'applicazione dell'imposta
sull'attività produttiva.
La sussistenza delle circostanze che legittimano l'applicazione del
tributo va riscontrata dal giudice tributario, caso per caso, attraverso
un'analisi qualitativa (più che quantitativa) dell'organizzazione posta in
essere dal professionista. Diventa infatti difficile stabilire degli indici
di prevalenza dell'attività professionale su quella derivante
dall'organizzazione, fissando delle percentuali al di sotto delle quali
l'organizzazione non può che ritenersi squisitamente funzionale all'attività
del professionista (questa strada viene percorsa seppure in dottrina).
Quello che invece va in concreto valutato é se l'organismo economico
(organizzazione) è presente nell'attività del professionista e se ha
influito, con proprio valore aggiunto, al reddito professionale.
Venendo al caso concreto quello che questa Commissione deve accertare è
se nell'attività svolta dall'appellante sia riscontrabile una
organizzazione, intesa come organismo economico, la quale legittimi l'applicazione dell'imposta IRAP.
Che cosa debba essere in concreto inteso per organizzazione discende da
quanto già specificatamente detto in argomento. Trattasi cioè di fattori
aggiunti che siano in sé idonei a creare ricchezza, percepibili attraverso
un'analisi qualitativa dell'attività in concreto svolta dal professionista. Il sig. Mo. eccepisce che nella sua attività di ingegnane libero professionista, non si serve di personale dipendente né di collaboratori,
opera in via personale utilizzando attrezzature minimali e comunque di
valore complessivo assai modesto.
Da questi elementi, che ritiene abbiano un valore probatorio significativo, fa discendere la prova dell'assenza di qualsivoglia organizzazione economica nell'ambito della propria attività.
Proprio perché l'analisi sui possibili fattori produttivi aggiunti è ad
ampio spettro e deve essere focalizzata su tutti gli elementi che concorrono
determinare l'attività professionale, fattori che, proprio perché aggiunti,
si traducono in costi per il professionista, questo collegio non può
esimersi dal vagliare l'insieme delle componenti negative che sono state
indicate nelle dichiarazioni annuali presentate dalla parte, come tali
influenti e correlate all'attività professionale svolta, perché è da queste e attraverso queste che si potrà raggiungere il convincimento circa l'inesistenza di un organismo economico aggiunto.
Dall'esame delle dichiarazioni dei redditi del contribuente per
l'attività professionale svolta nell'anno 2003 si evince che lo stesso ha
indicato una serie di spese corrispondenti all'ammontare dei costi ammessi in deduzione ai fini IRAP.
Tali spese, ammontanti a complessivi Euro 13.101,00, si riferiscono a
normali acquisti di strumenti informatici e relativi applicativi, tra
l'altro ammortizzati negli anni, e a materiale di arredamento dell'ufficio,
ivi comprese lampade ed altri oggetti per i quali era semmai da verificare
l'inerenza. Altri costi sono riferiti alla vettura (sempre in procedura di
ammortamento) ed a compensi a terzi per la tenuta della contabilità, i quali
non possono considerarsi incrementativi del reddito.
Ritiene questo collegio che impropriamente primi giudici abbiano
considerato tali spese come significative di una organizzazione autonoma
nell'ambito dell'attività svolta dall'appellante. Di contro le stesse devono
ritenersi necessario e strumentati per lo svolgimento dell'attività, proprio
perché questa non può essere esercitata in assenza di strumenti logistici e
tecnici, seppure minimali. Per questi motivi il contribuente non deve ritenersi soggetto
all'applicazione dell'imposta IRAP e conseguentemente non fiscalmente tenuto
all'assolvimento dell'imposta richiesta dall'Agenzia delle Entrate.
Per quanto complessivamente esposto l'appello del contribuente va quindi
accolto. Esistono giusti motivi per la compensazione delle spese.
P.Q.M. - Accoglie l'appello del contribuente e dichiara illegittima la
cartella di pagamento impugnata. Spese compensate.

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