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mercoledì 29 settembre 2010

La Corte di Cassazione interviene sul tempo tuta per i dipendenti



Con il termine “tempo tuta” si identifica il tempo impiegato dal lavoratore per indossare e svestire gli abiti da lavoro. La Corte di Cassazione ha affermato che tale tempo, necessario per indossare gli abiti di servizio, sulla base di una specifica indicazione del datore di lavoro, costituisce tempo di lavoro retribuito (sentenza n. 19358 del 10/09/2010).

Nel rapporto di lavoro, sottolinea la suprema Corte, deve distinguersi una fase finale, che soddisfa direttamente l'interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell'ambito della disciplina d'impresa (art. 2104 seconda comma Codice Civile) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria.
Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva.

Fatto
Un gruppo di dipendenti ha convenuto in giudizio il datore di lavoro chiedendo l'equivalente di venti minuti di retribuzione giornaliera per 45 settimane, a fronte del cd “ tempo tuta”.
Secondo le disposizioni datoriali, per entrare nel perimetro aziendale, i dipendenti dovevano transitare per un tornello apribile mediante tesserino magnetico di riconoscimento, indi percorrere cento metri ed accedere allo spogliatoio, ivi indossare gli indumenti di lavoro forniti dall'azienda, effettuare una seconda timbratura del tesserino prima dell'inizio del lavoro; al termine, dovevano effettuare una terza timbratura, accedere allo spogliatoio per lasciare gli abiti di servizio, passare una quarta volta il tesserino al tornello e uscire.
L’azienda ha eccepito che nel corso delle operazioni suddette i lavoratori rimanevano comunque liberi di disporre del proprio tempo e non erano sottoposti al potere datoriale; soltanto con l’inizio effettivo del turno di lavoro essi erano sottoposti agli ordini ed alle indicazioni dei superiori gerarchici. Dunque non poteva ravvisarsi nel cd. “tempo tuta” il sinallagma contrattuale che determina il diritto alla retribuzione.

Il giudice di prime cure ha stabilito che il tempo necessario per la vestizione non costituisce tempo di lavoro retribuito.
La Corte di Appello ha invece riconosciuto, nella misura equitativamente determinata del 50 per cento, il diritto dei dipendenti alla retribuzione per il cd. “tempo tuta”, non essendo possibile determinare con certezza il tempo effettivamente impiegato dai lavoratori per le sole operazioni di vestizione.

Decisione

La Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’appello, osservando che secondo consolidato orientamento della giurisprudenza: “Ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facoltà di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività, lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito” (Cass. n. 15734/2003).
Il principio è stato confermato da una recente pronuncia (Cass. sentenza n. 15492/2009), secondo la quale: “sono da ricomprendere nelle ore di lavoro effettivo, come tali da retribuire, anche le attività preparatorie o successive allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché eterodirette dal datore di lavoro, fra le quali deve ricomprendersi anche il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale, qualora il datore di lavoro ne disciplini il tempo ed il luogo di esecuzione. Né può ritenersi incompatibile con tale interpretazione la norma del contrattuale secondo la quale "le ore di lavoro sono contate con l'orologio dello stabilimento o reparto", posto che tale clausola non ha una funzione prescrittiva, ma ha natura meramente ordinatoria e regolativa, ed è destinata a cedere a fronte dell'eventuale ricomprensione nell'orario di lavoro di operazioni preparatorie e/o integrative della, prestazione lavorativa che siano, rispettivamente, anteriori o posteriori alla timbratura dell'orologio marcatempo”.
Sentenza tratta dalla rivista "Pianeta lavoro previdenza"

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