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giovedì 16 gennaio 2014


 COMUNICATO STAMPA

Firmato protocollo con i consulenti del lavoro per la certificazione della regolarità
contrattuale


Al fine di diffondere la cultura della legalità e semplificare gli adempimenti a carico dei datori di
lavoro, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha stipulato un Protocollo d'Intesa con
l'Ordine dei Consulenti del lavoro per l'asseverazione della regolarità delle imprese in materia di contribuzione e di retribuzione.

Le finalità della convenzione, sottoscritta questa mattina al Ministero dal Ministro del Lavoro
Enrico Giovannini e dal presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro
Marina Calderone, sono lo sviluppo e la diffusione della cultura della legalità e la semplificazione
degli adempimenti a carico delle imprese.

L'asseverazione, denominata ASSE.CO., verrà rilasciata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei
Consulenti del Lavoro, anche attraverso la propria Fondazione Studi, consentirà di certificare la
regolarità rispetto a lavoro minorile, orario di lavoro, contratti collettivi, obblighi contributivi e
pagamento della retribuzione, relativi al lavoro subordinato e parasubordinato instaurati dai datori
di lavoro.

La garanzia della regolarità così certificata dai Consulenti del Lavoro - professionisti iscritti
all'Ordine ai quali il legislatore ha assegnato negli ultimi anni un ruolo sussidiario affidando loro
altre funzioni pubbliche, come la certificazione dei contratti di lavoro, l'intermediazione, la
selezione, la conciliazione e l'arbitrato - consentirà ai datori di lavoro di fare affidamento sulla
correttezza dei propri adempimenti semplificandone la gestione.

L’ASSE.CO., rilasciata esclusivamente su istanza volontaria del datore di lavoro, avrà validità
annuale e prevede idonee verifiche quadrimestrali rivolte a constatare il permanere delle condizioni
di regolarità.

La convenzione prevede l'applicazione del regime sanzionatorio penale nel caso di falsa
attestazione sia da parte del datore di lavoro che del consulente, il quale sarà anche soggetto ai
relativi provvedimenti disciplinari.

L’elenco dei datori di lavoro che otterranno l'ASSE.CO. sarà pubblicato sul sito del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali e da quello del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del
Lavoro.

Roma, 15 gennaio 2014

mercoledì 15 gennaio 2014

Il tribunale di Lucca estende il condono fiscale ai contributi previdenziali

Il Tribunale di Lucca ha stabilito che la definizione di lite fiscale produce effetti estintivi anche del correlativo debito previdenziale, illegittima la richiesta di pagamento INPS


Il Tribunale di Lucca con la recente sentenza n. 608 del 5.12.2013 ha stabilito che la definizione, a mezzo condono, di lite fiscale produce automaticamente  effetti estintivi anche del correlativo debito previdenziale, per cui è illegittima la richiesta di pagamento, da parte dell’INPS, dell’obbligazione previdenziale collegata all’accertamento fiscale operato dalla Agenzia delle Entrate.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Lucca, a seguito di avviso di accertamento fiscale che determinava un maggior imponibile, opposto dal contribuente davanti alla competente Commissione tributaria provinciale e definito con condono fiscale ex legge 111/2001,  l’INPS emetteva cartella esattoriale per il recupero dei maggiori contributi previdenziali dovuti per effetto dell’accertamento del maggior imponibile fiscale, laddove il Tribunale, “vista la necessaria correlazione tra contribuzione previdenziale  e reddito dichiarato ed accertato   a titolo definitivo  ai fini IRPEF”, ha dichiarato che “l’Ente previdenziale non può, quindi, pretendere una maggiore contribuzione in relazione a redditi che, dal punto di vista fiscale e tributario,non sono stati dichiarati né accertati in modo definitivo innanzi alla Commissione tributaria,”., ma sono stati oggetto di definizione a mezzo condono fiscale.
Caduto, per effetto del condono,  l’avviso di accertamento fiscale, l’INPS non è più legittimato ad esigere il pagamento dei contributi previdenziali (estinti col condono).
L’effetto principale della sanatoria delle liti fiscali pendenti è l’estinzione della controversia, compresa la componente previdenziale, che si verifica  con l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere ex art. 46 dlgs 546/1992.
La giurisprudenza si è posto  il problema se, alla luce della correlazione tra il maggior reddito accertato e il debito previdenziale contestato, sia scontata la conclusione che, in presenza della cessazione della materia del contendere sul piano fiscale,  l’INPS abbia ancora titolo alla propria pretesa.
Il giudice del Lavoro del Tribunale di Lucca ha detto di no, annullando la cartella esattoriale  INPS contestata dal contribuente con richiamo al ricorso, davanti alla Commissione tributaria competente, avverso l’afferente avviso di accertamento fiscale, definito con condono.
La regola di diritto che se ne trae è che il contributo previdenziale, essendo direttamente vincolato al reddito accertato del contribuente, seguendone la sorte, può estinguersi  con il condono fiscale.
Anche per il Tribunale di Milano il pagamento dei contributi previdenziali, attratti nella sfera del condono fiscale, non può essere chiesto dall’Ente previdenziale, che pretenderebbe l’intero importo dei contributi accertati dall’Agenzia delle Entrate nonostante il contribuente abbia definito la lite con il Fisco.
La Sezione Lavoro del Tribunale di Milano con la sentenza 5304 del 21.6.2913 ha, quindi, dichiarato inesistente il credito vista la illegittimità della richiesta dei contributi INPS “ tenuto conto che non è stato richiesto un diverso accertamento dell’obbligo contributivo eventualmente sulla base dell’accordo intervenuto tra Fisco e contribuente”.
Va ricordato a questo punto che, ai sensi dell’art. 39 dl 98/2011, le controversie relative ai contributi liquidati in base al maggior imponibile fiscale accertato sono escluse dalla definizione delle liti in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, la quale, con la circolare 48/E del 24.10.2011, ha chiarito che la definizione fiscale non “rileva” ai fini previdenziali1.
Si dice in buona sostanza : le controversie previdenziali rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario e, quindi, non sono definibili in sede di processo tributario.
L’Agenzia delle Entrate, però, non tiene conto che in caso di accertamento con adesione, i contributi vanno calcolati sul maggior reddito concordato, ex art. 2, comma 3, dlgs 218/1997, sicché  il concordato fiscale ha effetto anche ai fini contributivi.
Infatti il  Decreto Legislativo 19 giugno 1997 n. 218, recante “Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale”, al comma 1 dell’art. 1 dispone  che “ L’accertamento delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto può essere definito con adesione del contribuente, secondo le disposizioni seguenti.”.
Il comma 3 del successivo art. 2  stabilisce, poi, che “L’accertamento definito con adesione non e’ soggetto ad impugnazione, non e’ integrabile o modificabile da parte dell’ufficio e non rileva ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile e’ riconducibile a quella delle imposte sui redditi.”
Il successivo art. 6, comma 1, dal canto suo, stabilisce che il contribuente, nei cui confronti sono stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche ai sensi dell’art. 33 D.P.R. 600/73 e 52 D.P.R. 633/72, può chiedere all’ufficio, con apposita istanza in carta libera, la formulazione della proposta di accertamento ai fini dell’eventuale definizione, e la circolare ministeriale 235/E dell’8-8-1997 afferma che “al contribuente, nei cui confronti sono stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche è attribuita la facoltà di richiedere all’ufficio la formulazione di una proposta di accertamento con l’obiettivo di pervenire alla definizione”.
Il contribuente che prende l’iniziativa chiedendo la definizione del processo verbale di constatazione può anche avvertire l’ufficio fino a che punto è disposto ad “accettare” i rilievi formulati dai verificatori, e l’ufficio formula una sua proposta di definizione. Il funzionario che non formula la proposta sull’offerta del contribuente deve tener conto dei rischi che corre a causa del suo rifiuto. Raggiunto l’accordo viene redatto un atto, sottoscritto dal titolare dell’ufficio e dal contribuente, che contiene la motivazione e la liquidazione delle imposte dovute, il cui pagamento perfeziona il concordato.
C’è però da domandarsi se il concordato, definito dalle parti in base ad una analisi costi/benefici, sia conforme con i principi costituzionali di capacità contributiva e progressività ex. art. 53 Cost. dal momento che l’obbligazione tributaria da indisponibile si trasforma in disponibile, sicché la sua fonte esterna è da rinvenire più che in un provvedimento amministrativo nell’accordo delle parti.
L’accertamento con adesione impegna sia il contribuente, che non potrà più proporre ricorso dinanzi alle Commissioni Tributarie, sia l’ufficio che non potrà modificare l’accordo raggiunto. Vi sono però dei casi tassativamente previsti, in cui il concordato (relativamente alle imposte sui redditi o all’IVA) può essere integrato con un successivo accertamento; ciò è consentito ad esempio:
-se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi;
-se la definizione riguarda accertamenti parziali.
In merito alla natura giuridica del concordato, rectius dell’accertamento con adesione, vi sono in dottrina due teorie:
A) per alcuni scrittori si tratta di un negozio consensuale, e qualcuno è arrivato ad ipotizzare che presto il rapporto tributario non sarà diverso dal rapporto commerciale;2
B) per altri, invece, l’atto dell’ufficio resta pur sempre un atto unilaterale di accertamento, esternato in un documento che contiene anche l’adesione del contribuente; in sostanza sarebbe un normale accertamento, con in più l’adesione del contribuente.
L’Istituto, insomma, è discusso: da una parte non si può ammettere la negoziazione di una obbligazione legale, qual è l’obbligazione tributaria, dall’altra non si può negare che nella pratica ciò che le parti sottoscrivono è proprio un negozio, scrive De Mita3, relativo sia all’an che al quantum. E Lupi4 annota che, sotto il profilo del contenuto, le definizioni con adesione sono intimamente discrezionali, dovendo l’ufficio contemperare una serie di punti di vista confliggenti, come l’interesse a massimizzare il gettito, ma anche quello ad evitare i rischi di soccombenza in sede contenziosa, alla luce del grado di fondatezza della pretesa erariale e delle obiezioni del contribuente; la discrezionalità è quindi nella scelta tra diversi modi di salvaguardare l’interesse primario del Fisco, che può essere meglio perseguito da un ufficio che si accontenta di soddisfare una pretesa inferiore, ma evita i rischi del contenzioso.
Noi propendiamo a credere che l’accertamento con adesione sia incasellabile nella tipologia degli accordi sostitutivi di provvedimenti amministrativi di cui all’art. 115 della legge 7-8-1990 n. 241 – recante norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
Gli accordi sostitutivi tengono luogo dei provvedimenti, senza eliminare la possibilità di emanare i provvedimenti nei casi in cui l’accordo non si raggiunge. Ad essi si ricorre, se la legge lo consente, allorché l’amministrazione disponga del potere di emanare un provvedimento sostituito dall’accordo, il cui contenuto discrezionale possa essere codetermintato.
Ne deriva che l’Amministrazione concorda con il privato l’esercizio del potere secondo le regole dettate dall’art. 11 legge 241/906.
Il “concordato” è, quindi, un accordo sostitutivo nel senso che l’ufficio, su richiesta fatta dal contribuente a seguito del PVC., regola, in vista della realizzazione dell’interesse pubblico al pagamento delle imposte, gli assetti dei contrapposti interessi (Fisco – Contribuente) con la stipulazione di un accordo col soggetto verificato, destinatario del provvedimento finale del procedimento di accertamento.
L’operazione ermeneutica non si pone in contrasto con l’art. 13 della legge 241/1990 e succ. modifiche che vieta, per quanto riguarda gli atti autoritativi tributari, e tali sono le procedure, la stipulazione di contratti per adesione, ex art. 11,  tra amministrazione e soggetto interessato, sostitutivi del provvedimento : l’art. 13  non riconosce il diritto di partecipazione e, quindi, il diritto alla conclusione di atti negoziali tra aministrazione e utente del servizio pubblico, con riferimento ai procedimenti e provvedimenti tributari.
Qui non vale l’obiezione per cui l’applicazione dell’art. 11 della legge 241/1990 si porrebbe in contrasto  con il successivo art. 13, che non riconosce il diritto di partecipazione e, quindi, il diritto alla conclusione di atti negoziali, per quanto riguarda procedimenti e provvedimenti tributari, con la conseguenza che la stipulazione di accordi o contratti per adesione,  tra amministrazione e soggetto interessato, sostitutivi del provvedimento, sarebbero vietati :  questo perché la legge speciale 287/1997, che regola l’istituto dell’accertamento con adesione, prevale sull’art. 13 della legge generale del procedimento amministrativo, n. 241/1990, e ss. mm, rendendone applicabile il precedente art. 11.
Ora, se l’accertamento definito con adesione rileva per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile e’ riconducibile a quella delle imposte sui redditi, anche il condono fiscale, che è un’altra  forma, sia pure eccezionale, di definizione delle liti fiscali, non può non estendersi ai contributi previdenziali, nonostante il comma 2 dell’art. 3 del dlgs 287/1997  li qualifichi come entrate extratributarie7.
Dal Forum del “ COMMERCIALISTA TELEMATICO” maggio 2010
Ho un problema INPS/ADE che si protrae da 3 anni e spero che qualcuno di voi possa darmi una luce in questa storia infinita:
Nel 1998 la ditta in questione ha subito un accertamento fiscale che,non essendo ancora stato notificato all’entrata in vigore della l289/2002 (condono fiscale) ha aderito all’art 15 della suddetta Legge “Definizione degli avvisi di accertamento” effettuando il pagamento come previsto con il codice 8071.
-Nel prospetto di definizione della lite sono chiaramente indicati tutti i tributi accertati tra i quali quelli INPS con relativo importo.
-L ‘ADE non pretende nulla dal contribuente e tutto risulta definito e pagato “sia sotto il profilo fiscale che dei contributi previdenziali”
L’INPS non riconosce i contributi ritenendo che il condono (ma qua non si tratta di condono) non li copriva e ciondola in attesa ce “qualcuno dell’ADE invii un prospetto dettagliato e,in attesa ha emesso una cartella di pagamento sulla base del reddito accertato e non su quello definito.
Non so più cosa fare le ho provate tutte,continuano a dire che il codice 8071 con cui si effettuavano i versamenti relativi all’art 15 loro non lo riconoscono e,essendo un versamento unico non riescono a risalire alla corretta ripartizione dei tributi.
L’ADE ha emesso una certificazione chiara ma priva dei dati monetari e l’INPS l’ha praticamente cestinata.
Dopo aver letto e riletto l’art 15 L 289/2002 mi sorge un dubbio prima di avviare una causa legale…e se avessero ragione? se l’art 15 pur non essendo un “condono” non coprisse i contributi? eppure nel prospetto presentato all’ADE e’ chiara la voce
contributi previdenziali!
Che fare? non solo non erogano la pensione al contribuente ma continuano solo a sospendere e non annullare una cartella che si e’ già raddoppiata.
Gli impiegati continuano a sostenere che il condono del 2002 non toccava i contributi previdenziali che andavano pagati a parte senza voler capire che il contribuente non ha aderito al condono tombale ma all’art 15 cioè la “definizione degli avvisi di accertamento…”che comprendeva anche il pagamento dei contributi del 30% sull’eccedenza!>
In effetti l’art. 15 include anche i contributi!
Art. 15 (Definizione degli accertamenti, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione)
comma 2
“2. La definizione degli avvisi di accertamento e degli inviti al contraddittorio di cui al comma 1, si perfeziona mediante il pagamento, entro il 16 marzo 2003, degli importi che risultano dovuti per effetto dell’applicazione delle percentuali di seguito indicate, con riferimento a ciascuno scaglione:
a) 30 per cento delle maggiori imposte e contributi complessivamente accertati ovvero indicati negli inviti al contraddittorio, non superiori a 15.000 euro;
b) 32 per cento delle maggiori imposte e contributi complessivamente accertati ovvero indicati negli inviti al contraddittorio, superiori a 15.000 euro ma non superiori a 50.000 euro;
c) 35 per cento delle maggiori imposte e contributi complessivamente accertati ovvero indicati negli inviti al contraddittorio, superiori a 50.000 euro”
Quanto sopra esposto, trova, secondo noi, una ulteriore conferma legislativa, a partire dal 1.1.2014,  nell’art. 17bis del decreto legislativo 546/1992,come modificato dall’art. 1 comma 611 lett. a) della legge di stabilità n. 147 del 27.12.2013, concernente  la disciplina procedimentale degli istituti del reclamo e della mediazione per le controversie di valore non superiore a ventimila euro : esso  stabilisce che l’esito del procedimento del reclamo “rileva anche per i contributi previdenziali ed assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali ed assistenziali non si applicano sanzioni ed interessi. Si applicano le disposizioni dell’art. 48 in quanto compatibili”.
Il succitato comma 611 lett. a) stabilisce anche che le modifiche si applicano agli atti notificati a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 147 del 27.12.2013.
Quindi,  secondo noi, i contributi previdenziali sono attratti nell’ambito di ogni forma di definizione, straordinaria o ordinaria, della controversia tributaria, nata dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 462/1997, il cui art. 1 prevede che “Per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e premi previdenziali ed assistenziali che…devono essere determinati nella dichiarazione dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi”.
 
Elaborato del dott. Giuseppe Alfano per LeggiOggi.it

mercoledì 8 gennaio 2014

Contratti di locazione, imposte con modello F24 Elide

L’imposta di registro sulle locazioni potrà essere versata con il modello F24 Elide a partire da febbraio

 

Dal 1° febbraio 2014 sarà possibile versare con il modello “F24 Versamenti con elementi identificativi” (F24 Elide) l’imposta di registro, i tributi speciali e compensi, l’imposta di bollo, le sanzioni e gli interessi relativi alla registrazione dei contratti di locazione e affitto di beni immobili. A concedere tale possibilità è stato un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 3 gennaio scorso. Viene, tuttavia, previsto un periodo transitorio, dal 1° febbraio al 31 dicembre 2014, in cui potrà essere usato ancora il modello F23. Dal 1° gennaio 2015, invece, i versamenti dovranno essere eseguiti esclusivamente con il modello F24 Elide. La misura fa parte del pacchetto delle semplificazioni fiscali presentate nella conferenza stampa dello scorso 3 luglio.
 
Fonte: Agenzia delle Entrate

martedì 7 gennaio 2014

Le leggi che vorremmo essere fatte ma che probalbilmente come altre rimarrano nel libro dei sogni.
Questa è una proposta di legge PD Scelta Civica Forza Italia che vale la pena di sostenere.
E' tratta dal sito www.pietroichino.it che ne è in quanto senatore di SC promotore.

UNA ALTERNATIVA AL “METTERE I LAVORATORI IN FREEZER” CON LA CASSA INTEGRAZIONE – UN MODO PER CONSENTIRE AI CASSINTEGRATI DI ATTIVARE LE LORO ENERGIE E COMPETENZE AL SERVIZIO DELLA COLLETTIVITÀ
Disegno di legge presentato al Senato il 23 dicembre 2013 da senatori di SC, PD, FI, M5S, SVP - In attesa della riconsegna delle bozze corrette, il testo è suscettibile di correzioni e integrazioni ancora per qualche settimana: sarò pertanto grato ai lettori e agli esperti che vorranno segnalare miglioramenti possibili – Le correzioni e integrazioni apportate al testo presentato il 23 dicembre, in accoglimento dei suggerimenti pervenuti, che entro fine gennaio verranno trasferite sulle bozze, sono qui evidenziate in blu
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DISEGNO DI LEGGE
Disposizioni volte a favorire l’utilizzazione in attività di utilità pubblica delle competenze e capacità delle persone sospese dalla prestazione lavorativa contrattuale con intervento della Cassa integrazione guadagni

presentato alla Presidenza del Senato il 23 dicembre 2013 dai senatori ICHINO, RICCHIUTI, BERGER,

DELLA VEDOVA, FAVERO, IDEM, LANZILLOTTA,  LO GIUDICE, LEPRI, MARAN, MINEO,
PEZZOPANE, PUPPATO, RUTA, VACCARI
BONFRISCO, FUCHSIA, GIANNINI, TONINI, SUSTA, ASTORRE, CALEO, LEPRI, DALLA ZUANNA,
Relazione illustrativa
Il provvedimento prevede che le imprese per le quali ricorrano gli estremi per fare ricorso alla Cassa integrazione possano adottare lo schema del progetto Lavoro per la città al fine di utilizzare le prestazioni dei lavoratori, destinati altrimenti alla sospensione con intervento ordinario o straordinario della Cassa integrazione, in attività di utilità pubblica o sociale. Il progetto, nella sua versione ordinaria (articoli da 1 a 3), comporta: i) la raccolta delle richieste di collaborazione temporanea provenienti dal Comune o altri enti locali, oppure da associazioni di volontariato senza fini di lucro; ii) la raccolta della disponibilità per tale collaborazione da parte dei dipendenti interessati; iii) il distacco dei lavoratori disponibili presso il soggetto richiedente, per un periodo pari o inferiore alla durata dell’intervento richiesto della Cassa integrazione. L’impresa stessa deve inoltre curare il reperimento delle risorse necessarie per la corresponsione ai lavoratori impegnati nel progetto di una indennità non inferiore a un quarto dell’integrazione salariale e non superiore all’importo necessario per assicurare alla persona interessata un reddito pari a quello percepito prima della sospensione della sua prestazione ordinaria, rimanendo gli altri tre quarti dell’integrazione salariale a carico dell’Inps. Si trasforma, in questo modo, un momento di sospensione dal lavoro in uno in cui il proprio lavoro è messo a disposizione della società civile circostante.
La prima e più rilevante differenza rispetto all’utilizzo della Cassa integrazione è che la persona partecipante al progetto Lavoro per la città continua a lavorare, ancorché in ambiti diversi da quelli per i quali essa è stata assunta e sarebbe contrattualmente obbligata, mettendo a disposizione della comunità in cui vive il suo tempo e le sue capacità. L’attuale meccanismo della Cassa integrazione offre, invece, un sostegno finanziario per le ore “non lavorate”, assomigliando per questo aspetto in tutto e per tutto ai sussidi alla disoccupazione.
Altra differenza essenziale rispetto al funzionamento tradizionale della Cassa integrazione è che le persone impegnate nel progetto ricevono una parte dell’integrazione salariale, ed eventualmente anche un’integrazione dell’integrazione stessa fino a concorrenza dell’ultima retribuzione, dalla datrice di lavoro e/o dal soggetto utilizzatore della loro collaborazione volontaria, o da un soggetto terzo. L’impresa datrice di lavoro garantisce comunque il relativo pagamento e vi provvede alle scadenze consuete. L’indennizzo è esente da oneri contributivi, restando inalterata la copertura figurativa operante in tutti i casi di intervento della Cassa integrazione. Per la parte che resta a carico dell’impresa datrice di lavoro l’indennizzo resta deducibile ai fini fiscali, come se si trattasse di retribuzione corrisposta per una prestazione direttamente utilizzata dall’impresa stessa.
Per altro verso, l’impegno dell’impresa nel progetto – anche quando non sia essa a farsi carico dell’indennità pagata ai lavoratori volontari – può assumere un significato importante, agli occhi dei lavoratori come di ogni altro interlocutore e del mercato in generale, manifestando in modo inequivocabile la solidità dell’impresa stessa e la sua volontà di riprendere appena possibile la propria attività. Per questo aspetto, Lavoro per la città si colloca agli antipodi rispetto a una prassi, purtroppo molto diffusa,  di utilizzazione dell’intervento della Cassa integrazione come sostanziale trattamento di disoccupazione, per “traghettare” il lavoratore al prepensionamento o per mantenere formalmente in vita posti di lavoro per i quali non ci sono prospettive ragionevoli di riattivazione. Il finanziamento almeno parziale del progetto Lavoro per la città con la Cassa integrazione si rende, comunque, indispensabile perché, per un verso, è assai raro che l’impresa sia in grado di sostenere tutto il costo dell’integrazione salariale per lavoratori che sono sospesi dalla produzione, e che tale costo possa essere integralmente sostenuto dall’ente pubblico interessato alla collaborazione volontaria. Sono, infatti, poche le aziende in cui al forte rallentamento della domanda di mercato si accompagni ancora con una buona redditività aziendale.
Lo abbiamo chiamato Lavoro per la città perché la funzione delle imprese consiste, secondo il principio della responsabilità sociale, oltre che nel creare e organizzare il lavoro e dare opportunità di sviluppo dell’identità professionale, nel soddisfare un bisogno del mercato, nel produrre e distribuire in modo corretto valore economico, anche nel perseguire dove possibile direttamente l’interesse della collettività. Quando l’azienda non è in condizione di poter produrre per il suo mercato, essa deve poter nondimeno mettere a disposizione della comunità in cui è radicata tutte o parte delle sue risorse e/o delle sue strutture, ancorché temporaneamente, trasformandosi appunto in una “azienda per la città“.
L’articolo 4 prevede invece una diversa possibile modalità di partecipazione di persone sospese dal lavoro con intervento ordinario o straordinario della Cassa integrazione a iniziative di pubblica utilità, che prevede il permanere dell’integrazione salariale interamente a carico dell’Inps. In questo caso, a differenza del caso precedente, i) l’impresa datrice di lavoro non svolge alcun ruolo organizzativo, né promozionale, né negoziale; ii) la prestazione di attività non è svolta dalla persona interessata in forza del distacco (concordato con l’impresa datrice di lavoro) presso il soggetto utilizzatore, bensì in forza di una sua adesione spontanea, la cui piena legittimità viene in questo modo confermata, all’appello di un ente pubblico, che abbia scoperture di organico non immediatamente suscettibili di copertura, o comunque necessità straordinarie di cooperazione; iii) il sostegno del reddito della persona interessata resta interamente a carico dell’Inps e non sono previste sue integrazioni. Qui si prevede che l’ente interessato pubblichi attraverso i Centri per l’Impiego una propria proposta di collaborazione volontaria, definendone il contenuto e individuandone la persona incaricata del coordinamento; si prevede inoltre che ogni persona sospesa dal lavoro con intervento della Cassa integrazione, quale che sia l’impresa di sua appartenenza, possa aderire alla proposta dell’ente pubblico, semplicemente dandone comunicazione al coordinatore e a un Centro per l’Impiego.
L’articolo 5 prevede che in entrambi i casi – sia quello di cui all’articolo 1, sia quello di cui all’articolo 4 – il rapporto di collaborazione volontaria così costituito sia automaticamente coperto dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, senza oneri contributivi a carico dell’ente utilizzatore. All’istituto competente è affidata l’emanazione delle disposizioni attuative, con riduzione al minimo indispensabile dell’aggravio burocratico per gli operatori e i beneficiari.
L’articolo 6 chiarisce la non interferenza tra la nuova normativa e la disposizione contenuta nel comma 1 dell’articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, che prevede la possibilità di svolgimento, da parte di persone sospese dal lavoro con intervento della Cassa integrazione, di prestazioni di lavoro accessorio. A differenza della fattispecie istituita e disciplinata da questa legge, quella disciplinata nella norma testé citata riguarda l’utilizzazione occasionale, dietro regolare retribuzione e contribuzione previdenziale, del lavoro di titolari del trattamento di integrazione salariale da parte qualsiasi soggetto, anche  imprenditore e anche in funzione di attività lucrative.
L’articolo 7, infine, stabilisce che gli articoli da 1 a 5 entrino in vigore 30 giorni dopo la pubblicazione della nuova legge, obbligando il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ad adottare immediatamente le misure necessarie per la massima possibile diffusione della conoscenza delle nuove disposizioni: passaggio indispensabile, questo, perché queste possano fecondare il tessuto sociale e produttivo del Paese.
La possibilità di attivare uno dei due meccanismi descritti è tanto più rilevante nell’attuale condizione economico-finanziaria del Paese, in cui i vincoli di bilancio imposti allo Stato e agli enti territoriali sovente non consentono di finanziare servizi alla persona, alla famiglia o alle collettività locali, dei quali pure ci sarebbe una forte richiesta. Sono numerosissime le attività che potrebbero essere promosse per questa via: apertura con orari prolungati di biblioteche e musei, manutenzione ordinaria di edifici scolastici, manutenzione del verde e dell’arredo urbano, servizi di trasporto per i disabili e gli anziani, pulizie straordinarie della città o di altri spazi, potenziamento di uffici giudiziari o di ispettorati mediante affiancamento di assistenti agli ispettori, vigilanza serale o notturna nelle strade, servizi di coaching da parte di lavoratori maturi nei confronti di giovani in fase di ingresso nel tessuto produttivo, e così via. Dovrà essere in ogni caso garantito che le attività rientranti nei progetti Lavoro per la città abbiano carattere temporaneo e rientrino fra quelle che non avrebbero comunque potuto essere attivate altrimenti in forme ordinarie.
questa iniziativa legislativa è stato obiettato che essa rischierebbe di generare attese di immissione in ruolo dei lavoratori interessati presso le amministrazioni pubbliche. A nostro avviso questo rischio può e deve essere evitato impedendo che la Cassa integrazione guadagni venga utilizzata in sostituzione del trattamento di disoccupazione, in situazioni nelle quali non vi è ragionevole prospettiva di ripresa effettiva del lavoro presso l’impresa datrice di lavoro. A questo tendono in modo inequivoco le disposizioni contenute nella legge 28 giugno 2012 n. 92, cui dovrà essere data attuazione rigorosa, se necessario rafforzandone la portata effettiva.
Un’altra obiezione riguarda invece il rischio che i lavoratori cassintegrati vengano utilizzati da cooperative sociali od organizzazioni non lucrative di utilità sociale in funzione sostitutiva rispetto all’assunzione di personale di ruolo. Va però osservato, a questo proposito, che delle due ipotesi previste in questo progetto di legge (quella di cui all’articolo 1 e quella di cui all’articolo 4) solo la prima contempla la possibilità di utilizzazione di lavoratori cassintegrati da parte di soggetti di diritto privato, quali cooperative od Onlus; e la prevede a condizione che l’utilizzazione stessa avvenga mediante distacco da parte dell’impresa che sospende temporaneamente dal lavoro una parte del proprio personale, la quale si obbliga al pagamento di una parte dell’integrazione salariale o quanto meno garantisce il pagamento stesso. Appare dunque poco probabile che un’impresa industriale possa prestarsi a questa operazione, accollandosene i costi non irrilevanti, soltanto per consentire un abuso a una cooperativa sociale o a una associazione non lucrativa. Al fine di neutralizzare del tutto questo rischio, il comma 1 dell’articolo 3 pone un limite massimo alla durata del distacco di tre mesi, prorogabili per una sola volta di altri tre mesi.
Relazione tecnica – Sul piano finanziario la nuova normativa proposta comporta, a parità di richiesta di ore di cassa integrazione da parte delle aziende: a) un risparmio per l’Inps nel caso di attivazione del progetto del primo tipo; b) nessuna variazione nell’entità delle prestazioni erogate dall’Inps. La valutazione del quantum del risparmio previsto nel caso a) dipende da molte variabili difficilmente stimabili: quante aziende opteranno per questo progetto e quanti dipendenti accetteranno di svolgere mansioni nel contesto del progetto stesso. In via prudenziale pertanto non si formulano stime di risparmi.
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DISEGNO DI LEGGE
Articolo 1
Piano aziendale per l’utilizzazione di lavoratori in iniziative di utilità pubblica o sociale
     1. L’imprenditore può allegare alla presentazione della domanda di intervento ordinario o straordinario della Cassa integrazione guadagni, o presentare in un momento successivo, un piano per l’utilizzazione in una attività di pubblica utilità dei lavoratori disponibili, nel corso del periodo di sospensione della prestazione contrattuale ordinaria, mediante distacco dei lavoratori stessi. Il piano deve prevedere:
a) l’attivazione presso l’azienda di un centro per la raccolta di richieste di personale volontario provenienti da enti pubblici, cooperative sociali, organizzazioni non lucrative di utilità sociale, enti religiosi, portatori di handicap grave o persone non autosufficienti, recanti l’indicazione del tipo di mansioni e della relativa collocazione ed estensione temporale;
b) la raccolta presso lo stesso centro delle disponibilità volontarie per lo svolgimento temporaneo delle prestazioni di lavoro di cui alla lettera a) da parte di personale dipendente dall’imprenditore, che sarebbe altrimenti interessato dalla sospensione dal lavoro;
c) l’impegno dell’imprenditore datore di lavoro a corrispondere un’integrazione salariale alle persone impegnate nelle prestazioni di lavoro di cui alla lettera a) non inferiore a un quarto dell’importo corrisposto dalla Cassa integrazione e non superiore all’importo necessario affinché la persona interessata percepisca un reddito di lavoro pari a quello precedente alla sospensione.
Articolo 2
 Procedimento di attivazione del piano aziendale
1. L’organo competente per disporre l’intervento della Cassa integrazione guadagni, constatata la corrispondenza del piano per l’utilizzazione dei lavoratori disponibili in attività di pubblica utilità ai requisiti di cui all’articolo 1, ne dà conferma all’imprenditore interessato e dispone la riduzione di un quarto dell’integrazione salariale corrisposta dalla Cassa alle persone impegnate nello svolgimento temporaneo delle prestazioni volontarie.
Articolo 3
Distacco dei lavoratori partecipanti all’iniziativa
1. A seguito della conferma di cui all’articolo 2 l’imprenditore provvede al distacco del dipendente che abbia accettato di svolgere le prestazioni di pubblica utilità presso l’ente richiedente. Il distacco presso soggetti di diritto privato non può avere durata superiore a tre  mesi, prorogabili una sola volta.
2. La parte dell’integrazione salariale corrisposta al dipendente da parte della datrice di lavoro non è soggetta a contribuzione previdenziale, rimanendo il periodo di integrazione coperto dalla stessa contribuzione figurativa di cui il dipendente stesso avrebbe goduto in caso di sospensione del lavoro con integrazione salariale a carico della Cassa.
3. Il costo della parte di integrazione salariale pagata dall’imprenditore datore di lavoro può essere in parte o del tutto coperto da soggetti terzi, ivi compreso l’ente utilizzatore della collaborazione volontaria. In tale caso fermo restando quanto disposto dal comma 4, il pagamento effettuato dal soggetto terzo non è soggetto a imposizione fiscale a carico dell’imprenditore datore di lavoro.
4. Il costo della parte di integrazione salariale pagata dall’imprenditore datore di lavoro, per la parte non coperta da soggetti terzi a norma del comma 3, è deducibile dallo stesso imprenditore ai fini fiscali a norma dell’articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917.
5. L’integrazione salariale percepita dalla persona impegnata nella collaborazione di utilità pubblica è soggetta all’imposta sul reddito delle persone fisiche, a norma dell’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 977.
Articolo 4
Altri casi di utilizzazione da parte di enti pubblici di lavoratori sospesi dal lavoro
1. Al di fuori dei casi di cui all’articolo 1, le Regioni e gli Enti locali possono pubblicare presso i Centri per l’Impiego proposte di collaborazione di pubblica utilità rivolte alle persone sospese dal lavoro con intervento ordinario o straordinario della Cassa integrazione guadagni. Tali proposte devono indicare il luogo di svolgimento, le mansioni oggetto della collaborazione e la persona responsabile della relativa gestione e del coordinamento.
2. Le persone sospese dal lavoro con intervento ordinario o straordinario della Cassa integrazione guadagni possono aderire alla proposta di cui al comma 1 dandone comunicazione al Centro per l’Impiego e al coordinatore indicato.
Articolo 5
Sicurezza del lavoro e assicurazione antinfortunistica
1. Sia nel caso di cui all’articolo 1, sia in quello di cui all’articolo 4, il soggetto utilizzatore delle prestazioni di lavoro volontario è soggetto all’obbligo di sicurezza e protezione di cui all’articolo 2087 del codice civile.
2. In entrambi i casi di cui al comma 1 la collaborazione volontaria temporanea è coperta dall’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall’Inail, senza necessità di contribuzione. Lo stesso istituto emana il regolamento che disciplina l’attivazione dell’assicurazione, senza aggravi burocratici per gli operatori e gli interessati, salvo l’obbligo di comunicazione preventiva all’Istituto dei nomi dei collaboratori volontari interessati da parte dell’impresa datrice di lavoro nel caso di cui all’articolo 1, da parte del Centro per l’Impiego nel caso di cui all’articolo 2.
Articolo 6
Lavoro accessorio svolto dai lavoratori sospesi dal lavoro
1. Resta ferma la possibilità di svolgimento, da parte di persone sospese dal lavoro con intervento della Cassa integrazione, di prestazioni di lavoro accessorio a norma del comma 1 dell’articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276.
Articolo 7
Entrata in vigore e copertura conoscitiva
1. Le disposizioni contenute negli articoli da 1 a 5 entrano in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale.
2. Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali adotta immediatamente le iniziative necessarie per la diffusione della conoscenza dei contenuti di questa legge.
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