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giovedì 11 luglio 2013

 Si riporta interessante commento della Giuslavorista Lucia Polizzi apparso quotidiano giuridico LeggiOggi.it

Cassazione: legittimo il licenziamento della segretaria per riduzione del carico di lavoro

Le mansioni della segretaria licenziata?! …deferite ai praticanti!


Con sentenza 1697/2013 la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per motivi economici irrogato da uno studio professionale alla segretaria , giustificato dalla perdita di un importante cliente che aveva determinato la diminuzione del carico lavorativo.
A sostegno della decisione, gli Ermellini riprendono stralci di celebri sentenze della Sezione Lavoro , in cui si ricorda che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere “determinato non da una generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti”.
Certo, la sentenza in commento desta qualche perplessità.
In primis, il fatto che già la perdita di un solo cliente di uno studio professionale possa legittimare un licenziamento ex art.3 della legge 604/’66. Infatti, fermo il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata, le Corti hanno costantemente affermato una serie di importanti principi a tutela del lavoro e del lavoratore, ritenendo pacificamente che il recesso datoriale sia l’extrema ratio, giustificabile solo in virtù di situazioni economiche sfavorevoli, non occasionali, che incidano in modo decisivo sulla normale attività aziendale e giammai legittimato da esigenze di mero risparmio.
Dal corpo della decisione non emerge se, nel corso del giudizio, il datore di lavoro abbia dimostrato in che misura la perdita del cliente abbia negativamente influito nell’andamento economico dello studio professionale, adempiendo all’onere probatorio di dimostrare le reali esigenze produttivo-aziendali che rendono legittimo il licenziamento.
Ma la perpressità maggiore viene suscitata da un altro punto della sentenza, laddove il Collegio reputa opportuna la soppressione del posto di lavoro in ragione dell’affidamento delle mansioni della segretaria ai praticanti di studio!
Con la sentenza in epigrafe dunque, la Cassazione sembra sdoganare due principi:
il primo, esplicito, che consente al datore di lavoro di licenziare per g.m.o. la segretaria a causa della diminuzione dellgli incarichi lavorativi dello studio professionale;
il secondo, un po’ meno esplicito, in cui si legittima l’utilizzo dei praticanti di studio- più o meno pagati e/o rimborsati- come lavoratori subordinati in vece della segretaria!
Per chi gravita intorno agli studi personali, mala tempora currunt sed peiora parantur
Questo il link con copia sentenza:  http://www.leggioggi.it/wp-content/uploads/2013/07/14100213.pdf

mercoledì 10 luglio 2013

INPS – Messaggio 08 luglio 2013, n. 11030

Comunicato stampa videoconferenza regolarità contributiva online
Si trasmette il comunicato stampa diramato in data odierna dall’Ufficio Stampa dell’Istituto alle agenzie di stampa e ai quotidiani a diffusione nazionale.
Si interessano i responsabili della comunicazione per la più ampia diffusione sugli organi di informazione loc
ali.
Regolarità contributiva online:
- più facile il rapporto Inps-imprese.
A partire dal prossimo 22 luglio, le aziende potranno verificare direttamente online la regolarità contributiva Inps utilizzando una nuova procedura informatica che è stata presentata stamattina presso la Direzione Generale dell’Istituto, in Via Ciro il Grande 21 a Roma, nel corso di una videoconferenza che ha messo in collegamento tutte le sedi territoriali Inps.
La nuova applicazione informatica, che si inserisce nel disegno di una sempre maggiore semplificazione del rapporto tra Pubblica Amministrazione e aziende, riducendo tempi e passaggi, consentirà il controllo della posizione direttamente ai responsabili delle aziende, ovvero agli intermediari da esse delegati.
L’Istituto ha già avviato, con il coinvolgimento di Inail e Casse edili, il progetto che porterà in breve tempo al rilascio del Durc online.
Alla videoconferenza hanno partecipato, oltre ai Presidenti di Inps e Inail, A. M. e M. D., e ai Direttori generali dei due Istituti, Mauro Nori e G. L., il Presidente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, S. S., il Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro M. C., e il presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, P. B..
La videoconferenza si è conclusa con l’intervento del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, E. G., il quale ha espresso il proprio apprezzamento per l’iniziativa, che si colloca nel più ampio disegno di ammodernamento e informatizzazione della pubblica amministrazione.

lunedì 8 luglio 2013

LETTERA CIRCOLARE MINISTERO LAVORO SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N.119/2013


Con la  sottoriportata lettera circolare  25 giugno 2013, n. 11533  il MLPS fornisce istruzioni alle strutture territoriai e centrali a proposito della sentenza Corte Costituzionale n. 119 del 3-5 giugno 2013 in materia di ricorsi al Comitato regionale per i rapporti di lavoro ex art. 17 D.Lgs. n. 124/2004.


Con la sentenza di cui all’oggetto (di seguito allegata) la Corte Costituzionale è intervenuta sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 3, D.Lgs. n. 124/2004 nella parte in cui dispone la sospensione anziché l’interruzione del termine di cui all’art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in caso di proposizione di ricorso amministrativo al Comitato regionale per i rapporti di lavoro.”
La questione trae origine dalla diversa disciplina propria del regime del “doppio binario” introdotto dal Legislatore con riferimento ai nuovi ricorsi amministrativi previsti dagli artt. 16 e 17 del D.Lgs. n. 124/2004.
In particolare il Giudice delle leggi ha accolto l’eccezione di incostituzionalità sollevata dal Giudice rimettente in ordine alla ingiustificata disparità di trattamento venutasi a determinare in seguito alla previsione, per il ricorso di cui all’art. 16 del decreto citato, degli effetti interruttivi del termine per proporre il ricorso giurisdizionale ex art. 22 L. n. 689/1981, rispetto alla previsione di effetti meramente sospensivi per coloro che propongono l’analogo ricorso di cui all’art. 17 della norma in parola.
In pratica, dal tenore letterale delle norme in esame, configuranti la disciplina dei citati ricorsi amministrativi, scaturiva una disparità di trattamento, in ordine alla tempistica per proporre il ricorso giurisdizionale, fra i soggetti che proponevano ricorso ex art. 16 e quelli che proponevano ricorso ex art. 17, laddove i primi potevano beneficiare del termine integrale, in conseguenza del predetto effetto interruttivo, mentre i secondi potevano fruire solo del termine residuale rispetto al periodo già trascorso nelle more della proposizione del gravame amministrativo, con la conseguente compressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito e l’evidente disomogeneità di discipline regolanti ricorsi in tutto e per tutto simili.
Nella fattispecie in esame, la Consulta ha ritenuto che le diverse finalità e caratteristiche dei ricorsi in argomento non possano, in ogni caso, giustificare una netta difformità nella regolamentazione dei termini utili per adire l’Autorità giudiziaria.
La Consulta osserva, infatti, che l’applicazione integrale della norma censurata, comportante il solo effetto sospensivo e non interruttivo, porterebbe, una volta percorsa la via amministrativa, ad un potenziale svuotamento della facoltà di ricorrere all’Autorità giudiziaria in ragione dell’azzeramento dei termini per via della loro eventuale consumazione precedente alla proposizione del gravame amministrativo, contrariamente a quello che succede nella corrispondente ipotesi di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 124/2004, dove l’espressa previsione dell’effetto interruttivo legato alla proposizione del relativo ricorso amministrativo preserva per intero il termine per adire il Giudice competente.
Per le ragioni sopra riportate la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 3, del decreto citato “”nella parte in cui dispone che il ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro sospende anziché interrompe il termine di cui all’art. 22 della legge n. 689 del 1981″. in quanto configgente con l’art. 3 della Costituzione, per disparità di trattamento e per manifesta irragionevolezza della disciplina della norma censurata, e con l’art. 113, comma 2, sotto il profilo dell’effettività della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della P.A.
In considerazione, pertanto, di quanto statuito dalla Consulta si invitano gli Uffici in indirizzo a voler tener conto del principio di diritto sancito dalla Corte, in ordine all’equiparazione degli effetti legati alla proposizione dei ricorsi amministrativi di cui agli artt. 16 e 17 del D.Lgs. n. 124/2004, comportanti in entrambi i casi l’interruzione del termine utile a proporre il ricorso giurisdizionale ai sensi dell’art. 22 della L. n. 689/1981.
Pertanto, oltre alla logica conseguenza relativa all’impossibilità di proporre in futuro alcuna eccezione di tardività discendente dall’applicazione della norma dichiarata incostituzionale, sirappresenta la necessità di abbandonare qualsiasi difesa basata sul precedente regime di calcolo dei termini per proporre il ricorso in sede giudiziaria.
Allegato

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 febbraio 2012, n. 1717

 

Sanzioni amministrative – Applicazione – Opposizione – Ricorso al comitato regionale per i rapporti di lavoro – Effetto sulla decorrenza del termine per l’opposizione giudiziaria – “Sospensione” ex art. 17 del d.lgs. n. 124 del 2004 – Equivalenza ad interruzione – Fondamento.

Con provvedimento denominato “sentenza” del 16 novembre 2009 il Tribunale di Milano dichiarava inammissibile il ricorso promosso da P.M., in proprio e quale legale rappresentante della s.r.l. S., contro l’ordinanza ingiunzione emessa dalla Direzione provinciale del lavoro di Milano (n. 146/08/i) per violazione di norme in materia di lavoro subordinato.
Il ricorrente aveva negato di essere titolare di rapporti di lavoro subordinato, quale datore di lavoro.
L’inammissibilità era data dal mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto dall’art. 22 l. 24 novembre 1981 n. 689, sospeso per ricorso amministrativo ai sensi dell’art. 17 d. lgs. 23 aprile 2004 n. 124. Contro la sentenza ricorre per cassazione il M. mentre la Direzione provinciale resiste con controricorso.
Circa l’impugnazione dei provvedimenti giudiziari in materia di pagamento di sanzioni amministrative, deve rilevarsi un contrasto giurisprudenziale nell’ambito di questa Corte, relativo all’ufficio competente. Per alcune pronunce l’art. 26 d. lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 ha bensì attribuito in via di regola la competenza alla Corte d’appello, con eccezione però dell’impugnazione dell’ordinanza giudiziaria dichiarativa d’inammissibilità delle impugnazione per mancata osservanza del termine, prevista dall’art. 23, primo comma, l. n. 689 del 1981, non modificato dall’art. 26 d. lgs. cit. (Cass. 24 novembre 2009 n. 24748, 22 aprile 2010 n. 9667, 2 agosto 2010 n. 18009, 8 giugno 2011 n. 12521). Per contro Cass. Sez. lav. 23 febbraio 2010 n. 4355 ritiene che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 23, primo comma, della legge n. 689 del 1981 in caso di tardiva proposizione del ricorso è non impugnabile con ricorso per cassazione ma con l’appello, allo stesso modo dell’ordinanza di convalida emessa ai sensi del quinto comma in caso di mancata comparizione dell’opponente alla prima udienza, non assumendo alcun rilievo la mancata modificazione del primo comma da parte dell’art. 26 del d. Igs. n. 40 cit., in quanto l’appello costituisce il mezzo generale d’impugnazione delle decisioni rese nei giudizi di opposizione a sanzioni amministrative. Questo collegio ritiene di uniformarsi al primo dei due orientamenti, espresso da un maggior numero di sentenze, e ciò per una migliore realizzazione del principio di nomofilachia, e così di dichiarare ammissibile il ricorso, non assumendo poi alcun rilievo il fatto, puramente formale, dell’essere stato denominato il provvedimento qui impugnato “sentenza” invece che “ordinanza”.
Col primo motivo il ricorrente lamenta la falsa applicazione degli artt. 17 d. Igs. n. 124 del 2004, e 8 l. 14 febbraio 2003 n. 30, in relazione agli artt. 3, 24, 113 Cost, negando l’intempestività del suo ricorso proposto al Tribunale contro l’ingiunzione emessa dalla Direzione provinciale del lavoro: infatti il termine di trenta giorni, stabilito dall’art. 22 l. n. 689 del 1981 era stato interrotto – e non soltanto sospeso come erroneamente ritenuto dalla decisione giudiziaria ora impugnata – dal ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro, necessario perché imposto dall’art. 14 d. Igs. cit.
Ne consegue, secondo il ricorrente, che dopo il provvedimento di reiezione del ricorso amministrativo, il termine di trenta giorni in questione era iniziato di nuovo a decorrere e, prima della sua scadenza, era stato proposto il ricorso all’autorità giudiziaria, che perciò doveva considerarsi ammissibile. Il motivo è fondato.
L’art. 17 d. Igs. n. 24 del 2004 istituisce presso ogni direzione regionale del lavoro un comitato regionale per i rapporti di lavoro, competente a decidere tutti i ricorsi avverso gli atti di accertamento e le ordinanze-ingiunzioni emesse dalle dette direzioni. Il comma 3 dello stesso articolo diceva che il ricorso amministrativo “sospende” i termini di cui agli artt. 14, 18 e 22 l n. 689 del 1981.
Il riferimento all’art. 22 è stato soppresso dall’art. 34, comma 5, d. lgs. 1° settembre 2011 n. 150, che però ai sensi del successivo art. 36 non è applicabile ai processi pendenti alla data della sua entrata in vigore. All’epoca dei fatti di causa, perciò, l’art. 17, comma 3, cit, si applicava nel testo originario.
Se fosse esatta l’interpretazione letterale data a questa disposizione dal Tribunale, secondo cui la sospensione andrebbe intesa nel senso di cui agli artt. 2941 e 2942 cod. civ., una volta proposto dall’ingiunto tempestivamente un ricorso amministrativo entro ventinove giorni dalla notificazione dell’ingiunzione, come nel caso di specie, dopo la decisione del comitato regionale il medesimo disporrebbe di un solo giorno per ricorrere al giudice.
Il suo diritto di adire l’autorità giudiziaria, non azionabile per difetto di interesse (art. 100 cod. proc. civ.) prima della decisione sfavorevole del comitato, risulterebbe troppo difficilmente esercitabile, con conseguente contrasto dell’art. 17, comma 3 cit., con il principio di ragionevolezza e con il diritto di difesa in giudizio, tutelato dall’art. 24 Cost. Una siffatta interpretazione, – risultante tanto più in contrasto con la Costituzione quando si consideri che il procedimento giurisdizionale di opposizione alle sanzioni amministrative, regolato in via generale dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, si caratterizza “per una semplicità di forme del tutto peculiare, all’evidenza intesa a rendere il più possibile agevole l’accesso alla tutela giurisdizionale nella specifica materia” (Corte Cost sentt. nn. 98 del 2004 e 365 del 2010) – deve essere rifiutata e ad essa va preferita l’interpretazione del testo originario dell’art. 17, comma3, cit. secondo cui il ricorso interrompe, e non sospende, il termine di cui all’art. 22 l. n. 689 del 1981, con la conseguenza che, ottenuti dall’ingiunto la decisione sfavorevole, oppure il silenzio rifiuto, del comitato regionale, per effetto dell’interruzione inizia un nuovo decorso del termine in questione (cfr. art. 2945, primo comma, cod. civ.).
In tal senso si esprime letteralmente il legislatore del 2004 con l’art. 16 d. lgs. cit, relativo ai ricorsi in materia diversa dalla sussistenza o qualificazione dei rapporti di lavoro: il trattamento differente stabilito dai due artt. 16 e 17 risulterebbe ancora una volta in contrasto col principio di ragionevolezza.
Accolto il primo motivo di ricorso, gli altri debbono essere dichiarati inammissibili perché relativi al merito della controversia, vale a dire ad un tema non deciso dal Tribunale. In essi difetta perciò il requisito dell’interesse.
Cassata la decisione impugnata, la causa va rinviata ad altro giudice del Tribunale di Milano, che provvederà anche in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Milano, anche per le spese.