Visualizzazioni totali

venerdì 20 maggio 2011

Diritto alla retribuzione per il tempo tuta



Sentenza 08/04/2011 n. 8063 Corte di Cassazione

Nella vicenda in esame il ricorrente, insieme ad altri tredici lavoratori, aveva chiesto al Tribunale di Genova la condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni spettanti a titolo di compenso per lavoro straordinario per i cd. “tempi di percorrenza” e per i cd. “tempi di vestizione”, cioè dei tempi necessari per arrivare dai tre cancelli di accesso allo stabilimento fino ai singoli reparti ove erano collocati i terminali marca tempo, nonché dei tempi minimi necessari per indossare gli indumenti di lavoro.
L'adìto Tribunale, nel decidere il caso in esame, ha interpretato gli articoli del CCNL metalmeccanici applicato al rapporto di lavoro, nel senso che essi non escludevano questi tempi dal computo dell'orario di lavoro retribuito; di conseguenza il Tribunale ha dichiarato nulle tali clausole contrattuali nella parte in cui non consideravano, come orario di lavoro da retribuire, i periodi di tempo minimi, ivi compresi quelli per la vestizione, necessari per arrivare dal varco di accesso dello stabilimento alle effettive posizioni di lavoro e viceversa, ivi compreso il tempo per effettuare la doccia a fine giornata.
Tale sentenza veniva confermata anche in grado di appello.
La Corte di Cassazione, alla quale la società si era rivolta al fine di ottenere la riforma della decisione d'appello, ha preliminarmente richiamato la giurisprudenza formatasi in tema di retribuibilità del tempo necessario ad indossare gli strumenti di lavoro, statuendo che «ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito» (Cfr. ex plurimis, Cass. 19273/2006).
Alla luce di ciò, la Corte di Cassazione ha quindi ritenuto che la sentenza impugnata avesse dichiarato la nullità dell'art. 5 del CCNL applicato, nella parte in cui disponeva che «sono considerate ore di lavoro quelle di effettiva prestazione», senza chiedersi – come sarebbe stato invece necessario - se tale risultato avrebbe potuto essere evitato attribuendo a tali clausole una diversa interpretazione: se, cioè, in analogia a quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte con riferimento alla disciplina legale dell'orario di lavoro presa in considerazione, siano da ricomprendere nella nozione di lavoro “effettivo”, come tale da retribuire, anche le attività preparatorie allo svolgimento dell'attività lavorativa, sempre che siano etero dirette dal datore di lavoro. È poi indubbio che analogo criterio interpretativo andrebbe adottato anche in presenza di operazioni successive alla prestazione quando rivestano le medesime caratteristiche di quelle preparatorie.
La Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso proposto dalla società, ritenendo che nel caso in esame vi fosse difformità tra il contenuto della normativa legale e quello della disciplina collettiva in questione, rimettendo la causa al giudice a quo perché, esclusa la nullità delle clausole contrattuali in oggetto, procedesse in via preliminare alla loro interpretazione.
Tratto da Guida al Lavoro Il sole 24 ore.