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domenica 29 novembre 2009

Equitalia, non validi gli atti notificati a mezzo posta



Notifica inesistente se non eseguita da agenti abilitati
Con la sentenza n. 909/05/09 del 23 ottobre scorso, la Commissione tributaria provinciale di Lecce ha affermato che è inesistente la notifica a mezzo posta degli atti di Equitalia eseguita direttamente e non tramite agente all’uopo abilitato.


La vicenda trae origine dall’omesso versamento d’imposte (IVA, IRPEF e IRAP), contestato a un contribuente da parte dell’Amministrazione finanziaria. Essendo decorsi gli ordinari termini per il pagamento del richiesto, il Concessionario iscrive a ruolo il debito tributario e, successivamente, decorsi gli ordinari termini di legge, iscrive ipoteca sugli immobili del contribuente, ai sensi dell'art. 77, D.P.R. n. 602/73. Tale iscrizione, ritenuta illegittima dallo stesso contribuente, viene da questo tempestivamente impugnata.

Il contribuente, in sede d’impugnazione, oltre a mettere in dubbio la legittimità dell’iscrizione ipotecaria, contesta l’inesistenza della notifica del provvedimento stesso, poiché questo non è stato notificato tramite agente notificatore abilitato ed autorizzato.

Difatti, sebbene l’art. 26, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, rubricato “Notificazione della cartella di pagamento”, preveda la possibilità, per gli Agenti della riscossione, di notificare i propri atti per posta mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, esso, tuttavia, individua espressamente quali agenti notificatori gli ufficiali della riscossione o altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, i messi comunali o gli agenti della polizia municipale. In base all'art. 26, comma 1, citato, quindi, secondo il contribuente, la notificazione deve sempre essere effettuata da un agente notificatore abilitato, il quale può anche avvalersi del servizio postale, mentre sono certamente illegittime le notifiche eseguite a mezzo del servizio postale direttamente e non tramite agente all’uopo abilitato. Poiché, tuttavia, nel caso de quo, le condizioni di cui all’art. 26 cit. non sono state rispettate, il contribuente eccepisce l’inesistenza della notifica dell’atto impugnato.

Avverso tale eccezione, poi, l’Agente della riscossione, a sostegno della legittimità del suo operato, invoca, invece, il solo secondo periodo del succitato art. 26, primo comma, secondo il quale "la notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento".

Tuttavia, stando al parere della Commissione adita, mentre il primo periodo del comma 1 dell'art. 26 si limiterebbe a individuare - con un’elencazione tassativa - i soggetti legittimati all'esecuzione della notifica, il secondo periodo del comma 1 indicherebbe il modo attraverso il quale i soggetti di cui al periodo precedente possono eseguirla. In pratica, pur rimanendo fermi i soggetti autorizzati, questi, a loro volta, invece che direttamente, possono ricorrere all'ausilio del servizio postale per la notifica degli atti.

In ragione di ciò, quindi, la Commissione tributaria, accogliendo le doglianze del contribuente, poiché nel caso de quo non risultano rispettate le condizioni tassative di cui all’art. 26 cit., dichiara la notifica dell’atto impugnato giuridicamente inesistente.

Orbene, alla luce di quanto enunciato, si può concludere rilevando che, innanzitutto, la sentenza della C.T.P. di Lecce n. 909/05/09 del 23 ottobre scorso, risulta innovativa su un tema delicato qual è per l’appunto quello delle notifiche e, nello specifico di quelle a mezzo posta, colmo di incertezze, come da ultimo statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, con le sentenze n. 9493 e n. 9377 del 2009, che tuttavia hanno affrontato l’argomento relativamente all’aspetto oggettivo e non, come nel caso de quo, soggettivo.

Ancor più importanti, infine, sono gli effetti che la sentenza in commento, laddove confermata dai giudici di grado superiore, potrebbe produrre nei confronti dell’Agente della riscossione, che, in ragione di tale pronuncia, assisterebbe alla dichiarazione d’inesistenza di tutte le notifiche, relative ai suoi atti, eseguite per posta direttamente e non da soggetto all’uopo abilitato così come prescritto dalla norma, peraltro con possibile condanna alle spese, come nel caso de quo.
(Commissione tributaria provinciale Lecce, Sentenza, Sez. V, 16/11/2009, n. 909)
Fonte: www.ipsoa.it

mercoledì 25 novembre 2009

BONUS GAS - INFORMAZIONI E CHIARIMENTI



A partire dal 15 dicembre 2009, in ottemperanza alla delibera ARG/gas 8809 dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, le famiglie a basso reddito in possesso dei requisiti indicati nella sopracitata delibera, potranno presentare al proprio Comune di residenza i moduli di richiesta per ottenere il c.d. "bonus gas".
CHE COS'E'
E’ una riduzione sulle bollette del gas riservata alle famiglie a basso reddito e numerose. Il Bonus vale esclusivamente per il gas metano distribuito a rete (e non per il gas in bombola o per il GPL), per i consumi nell’abitazione di residenza.
CHI NE HA DIRITTO
Il Bonus può essere richiesto da tutti i clienti domestici che utilizzano gas naturale con un contratto di fornitura diretto o con un impianto condominiale, in presenza di un indicatore ISEE:
• non superiore a 7.500 euro
• non superiore a 20.000 euro per le famiglie numerose (con più di 3 figli a carico).
QUALI E QUANTE SONO LE CATEGORIE DI BENEFICIARI DEL BONUS GAS

In base a quanto stabilito dalla delibera ARG/gas 88/09 vengono individuate due distinte categorie di beneficiari:
Clienti domestici diretti, ovvero i clienti finali titolari di un contratto di fornitura di gas naturale in un punto di riconsegna (PDR).
Clienti domestici indiretti, ovvero le persone fisiche che utilizzano un impianto condominiale (centralizzato) alimentato a gas naturale asservito a un punto di riconsegna (PDR) .
QUANTO VALE IL BONUS GAS?
Il Bonus è determinato ogni anno dall’Autorità per consentire un risparmio del 15% circa sulla spesa media annua presunta per la fornitura di gas naturale (al netto delle imposte).
Il valore del Bonus sarà differenziato:
• per tipologia di utilizzo del gas (solo cottura cibi e acqua calda; solo riscaldamento; oppure cottura cibi, acqua calda e riscaldamento insieme);
• per numero di persone residenti nella stessa abitazione;
• per zona climatica di residenza (in modo da tenere conto delle specifiche esigenze di riscaldamento delle diverse località);
IL BONUS GAS HA VALIDITA' RETROATTIVA?
Presentando la domanda entro il 30 aprile 2010,si potrà ottenere il Bonus con effetto retroattivo al 1° gennaio 2009. in tale ipotesi la quota retroattiva del Bonus sarà erogata da Poste Italiane in un’unica soluzione tramite bonifico domiciliato.Dopo il 30 aprile, si potranno presentare le richiesta del bonus solo per i dodici mesi successivi alla presentazione della domanda.
COME VIENE EROGATO IL BONUS
A tutti i clienti domestici diretti, il Bonus sarà riconosciuto come una deduzione dalla bolletta gas.
I clienti domestici indiretti potranno ritirare il Bonus direttamente presso gli sportelli delle Poste Italiane utilizzando lo strumento del bonifico domiciliato.
QUANTO DURA IL BONUS GAS
Il Bonus è valido per 12 mesi. Entro due mesi dalla scadenza è necessario inoltrare una richiesta di rinnovo, anche per evidenziare variazioni di situazione familiare o di parametro ISEE intervenute nel frattempo.
MODULISTICA
Come stabilito dalla Delibera ARG/gas 144/09, i moduli predisposti per presentare istanza di ammissione al regime di compensazione per la fornitura di Gas naturale sono tre, tra i quali scegliere a seconda della tipologia d'utenza per la quale si richiede l'agevolazione:
1) Modulo A_Gas – Forniture individuali (clienti domestici diretti che utilizzano una fornitura autonoma)
2) Modulo B_Gas – Forniture individuali + centralizzate (per i clienti domestici diretti che sono serviti anche da un impianto condominiale centralizzato)
3) Modulo C_Gas – Forniture centralizzate (Per i clienti domestici indiretti , serviti solo da impianto condominiale centralizzato).
MODALITA' OPERATIVE
I singoli Comuni provvederanno a raccogliere le domande e, attraverso il Sistema di Gestione Agevolazioni Tariffe Energetiche(SGATE), trasmetterle telematicamente ai distributori di energia elettrica che provvederanno a erogare il bonus direttamente in bolletta.
Data la possibilità di una collaborazione con i comuni per la raccolta delle domande in oggetto, Si invitano gli uffici operativi a segnalare i Comuni eventualmente interessati alla stipula della convenzione contattandoci all'indirizzo mail isee@cgn.it o mediante quesito telematico per concordare e definire le modalità operative e di sottoscrizione.
Al fine di agevolare un successivo contatto, si prega di indicare nella comunicazione la persona referente nel Comune interessato, orari e recapiti telefonici ed eventuali indirizzi mail.
Per ulteriori informazioni: www.sgate.anci.it
Fonte Caf Cgn www.cgn.it

sabato 21 novembre 2009

Acconto Iva - scadenza 28/12/2009



Il giorno 28 Dicembre scade il termine per il versamento dell’acconto dell’IVA relativa al mese di dicembre o all’ultimo trimestre dell’anno.
Il metodo di calcolo dell’acconto è dovuto nella misura dell’88 per cento facendo riferimento ad uno dei seguenti criteri:
Metodo storico
La base di riferimento cui applicare l’aliquota dell’88 per cento è costituita, per i contribuenti mensili, dall’IVA dovuta per il mese di Dicembre del precedente anno, oppure per i contribuenti trimestrali dall’IVA dovuta per l’ultimo trimestre del precedente anno.
Metodo previsionale
La base di riferimento cui applicare l’aliquota dell’88 per cento è rappresentata dall’IVA che si prevede di dover versare per il mese di Dicembre per i mensili ovvero per l’ultimo trimestre per i trimestrali. Tale metodo, nel caso di previsione non corretta, espone al rischio di sanzioni nel caso in cui l’acconto versato risulti, a consuntivo, inferiore all’88 per cento dell’imposta definitivamente liquidata.
Metodo delle operazioni effettuate
In alternativa ai metodi precedenti, l’obbligo relativo all’acconto può essere adempiuto anche mediante il versamento di un importo determinato tenendo conto dell’imposta relativa alle operazioni annotate o che avrebbero dovuto essere annotate nei registri relative al periodo dal 1° al 20 dicembre per i contribuenti mensili ovvero al periodo dal 1° ottobre al 20 dicembre per i contribuenti trimestrali, nonchè dell’imposta relativa alle operazioni effettuate nel periodo dal 1° novembre al 20 dicembre, ma non ancora annotate non essendo decorsi i termini di emissione della fatturazione o di registrazione.
Utilizzando tale ultimo metodo l’importo calcolato va versato nella misura del 100 per cento anzichè nella misura dell’88 per cento come previsto nel caso di applicazione del metodo storico o previsionale.
Esclusioni dal versamento
L’acconto non va effettuato nei seguenti casi:
se di ammontare inferiore a Euro 103,00;
base di riferimento per il calcolo del precedente anno a credito;
inizio dell'attività nell'anno 2009;
cessazione dell'attività entro il 30.09.2009 (contribuente trimestrale);
cessazione dell'attività entro il 30.11.2009 (contribuente mensile);
opzione per il regime delle nuove iniziative (art.13 Legge 388/2000);
opzione per il regime dei minimi (Volume Affari fino a 30.000 euro);
Versamento
Il versamento deve essere effettuato tramite F24 telematico On Line, con il seguente codice tributo:
6013 contribuenti mensili,
6035 contribuenti trimestrali,
i trimestrali non devono in questo caso calcolare gli interessi del 1%
Modalità di Versamento
Il versamento dell'acconto Iva deve essere effettuato entro il 28 Dicembre. L'acconto Iva non è rateizzabile.

Sanzioni e Ravvedimento Operoso 
In caso di omesso, insufficiente o tardivo versamento di acconto si applica una sanzione amministrativa del 30% della somma non versata più gli interessi di mora. Qualora il contribuente intenda avvalersi del ravvedimento operoso (art. 13 del D.Lgs. 472/1997), può versare:
entro 30 giorni (cioè entro il prossimo 27 Gennaio 2010) l’imposta o la differenza non versata, la sanzione del 2,5% più gli interessi nella misura del 3% annuo con maturazione giorno per giorno;
entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno, l’imposta o la differenza non versata, la sanzione è del 3% più gli interessi nella misura del 3% annuo con maturazione giorno per giorno.
I codici da utilizzare per i versamenti tardivi nel modello F24 sono:
8904 per la sanzione del 2,5% o 3%,
1991 per la quota interessi tardivi 3%,

Affarishop.com

mercoledì 18 novembre 2009

ACCONTO IRPEF 2009 Adempimenti e regole




Con il Decreto Legge approvato giovedì 12 novembre dal Consiglio dei Ministri (ancora in fase di pubblicazione) è stata introdotta una riduzione dell’acconto d’imposta IRPEF dal 99% al 79%, la cui seconda o unica rata dovrà essere corrisposta entro il prossimo 30 novembre.

Possono usufruire della riduzione tutte le persone fisiche che pagano l’IRPEF e cioè commercianti, artigiani, professionisti e altri lavoratori autonomi persone fisiche, nonché pensionati e dipendenti che devono corrispondere all’Erario la rata di novembre, in base ai calcoli della dichiarazione. Rimangono esclusi i contribuenti IRES, le società di capitali e gli enti commerciali.

Ai contribuenti che, alla data di entrata in vigore del DL, hanno già effettuato il versamento senza tenere conto della suddetta riduzione, è riconosciuto un credito d'imposta in misura corrispondente, da utilizzare in compensazione nel Modello F24 secondo le consuete modalità. Presumibilmente, a tal fine, sarà istituito un apposito codice tributo.

Sostituti d'imposta
Per i contribuenti che hanno presentato il modello 730, i sostituti d'imposta tratterranno l'acconto applicando la nuova percentuale del 79 per cento. Qualora sia già stata effettuata la trattenuta, i sostituti provvederanno a restituire nella retribuzione di dicembre le maggiori somme trattenute.
I Caf non devono pertanto fare alcuna rettifica ai modelli 730 presentati all'Agenzia delle Entrate nè inviare ai sostituti nuovi modelli 730/4.

Toscana: le priorità per il 2010 nella proposta di bilancio



Elencate le priorità della Regione Toscana per il 2010, durante la presentazione della proposta di bilancio che la Giunta ha approvato il 29 ottobre e che il Consiglio Regionale dovrà discutere entro la fine dell'anno. Vengono confermati i numeri del Dpef approvato a luglio: 8 miliardi e 890 milioni è la spesa prevista per il 2010, di cui il 75% è destinato alla sanità e alle politiche sociali; altrettante sono le entrate, con un ricorso al credito di 435 milioni che potrebbe non essere tutto impiegato, in relazione alla disponibilità di cassa nell'anno rispetto agli stati di avanzamento di cantieri e progetti.
La Regione conferma il fondo straordinario da 5 milioni per aiutare chi ha perso il lavoro e non può contare su alcun ammortizzatore sociale.

Aumenteranno anche i soldi per la ricerca e per sostenere le imprese che innovano (271 milioni, 61 in più rispetto al 2009) e gli investimenti destinati alla sanità, a strade e mobilità o alla tutela dell'ambiente (381 milioni, 35 in più rispetto a quest'anno).

Con Fidi Toscana la Regione continuerà a garantire l'accesso al credito alle imprese a corto di liquidità o che vogliono investire: 60 milioni già stanziati nel 2009.

Per il sostegno allo sviluppo, sono a disposizione 330 milioni di fondi europei, 196 milioni di risorse nazionali del fondo per le aree sottoutilizzate e 476 milioni di investimenti regionali, che potranno essere impiegate nei limiti consentiti dal patto di stabilità.

Ci saranno più soldi anche per gli enti locali, con 7 milioni di euro ai Comuni in difficoltà, 2,2 milioni di nuovi incentivi per le Unioni comunali, 2,8 milioni per i costi del personale delle scuole materne a rischio di chiusura e con 10 milioni alle Province per la manutenzione straordinaria delle strade.

Per l'assistenza agli anziani non autosufficienti la Regione garantirà 80 milioni l'anno che serviranno a finanziare gli interventi domiciliari e a aumentare i posti nelle residenze sanitarie assistite.
Fonte:Regione Toscana - Warrant group srl.

lunedì 16 novembre 2009

Contratto di apprendistato quale contratto a tempo determinato o indeterminato.



Importante risposta da parte del Ministero del Lavoro con nota n. 79 del 12/11/2009 su quesito proposto dal Consiglio Nazionale Consulenti del Lavoro. Il Ministero afferma cheil contratto di apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato al quale il datore di lavoro può recedere solo per giusta causa o giustificato motivo, anche anteriormente alla scadenza del termine per il compimento dell’addestramento, senza incorrere negli obblighi risarcitori caratteristici del recesso ante tempus previsti per il contratto a tempo determinato.

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti de Lavoro ha presentato richiesta
d’interpello per conoscere il parere di questa Direzione generale in merito alla riconducibilità delcontratto di apprendistato ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato oppure a tempo determinato.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro, si rappresenta quanto segue.
In proposito si ricorda che la disciplina legale del contratto di lavoro a tempo determinato, contenuta nel D.Lgs. n. 368/2001, all’art. 10, comma 1 esclude espressamente dal proprio campo di applicazione, tra gli altri, il “rapporti di apprendistato”.
Va poi tenuta presente la definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, delle L. n. 25/1955 secondo cui “l’apprendistato è uno speciale rapporto di lavoro in forza del quale l’imprenditore è obbligato ad impartire o a far impartire, nella sua impresa, all’apprendista assunto alle sue dipendenze, l’insegnamento necessario perché possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l’opera nell’impresa medesima”.
Dalla lettura della disposizione citata emerge come il Legislatore abbia conferito al rapporto di apprendistato una peculiare struttura e natura giuridica, risultanti dal fondersi dei seguenti elementi:
1) un ordinario rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dalla reciprocità tra la prestazione lavorativa e la retribuzione (“… apprendista assunto alle sue dipendenze (…) utilizzandone l’opera nell’impresa medesima”);
2) un periodo di “tirocinio” finalizzato a fare acquisire all’apprendista le capacità e conoscenze necessarie affinché questi consegua una qualifica professionale
(“l’imprenditore è obbligato ad impartire o a far impartire (…) l’insegnamento
necessario perché possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore
qualificato”).
La funzione formativa, insieme a quella di scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione, contribuiscono, dunque, a caratterizzare la “causa” del contratto di apprendistato. Sotto questo profilo, nulla è mutato con l’introduzione delle successive integrazioni e modifiche normative di cui all’art. 21, L. n. 56/1987, all’art. 16, L. n. 196/1997 ed agli artt. 47-53, D.Lgs. n. 276/2003.
Rimangono, tuttavia, sempre chiaramente distinti i due seguenti diversi momenti:
1) lo scadere del periodo di apprendistato in cui, non sussistendo più materia di
addestramento professionale, è raggiunto l’obiettivo formativo ed il datore di lavoro può recedere dal rapporto, ai sensi dell’art. 2118 c.c. (art. 19, L. n. 25/1955). Tale disdetta, avente natura di negozio unilaterale recettizio (Cass., sez. lav., 28 marzo, 1986 n. 2213) si atteggia, di fatto, come un recesso ad nutum, da considerarsi legittimo (ex plurimis Cass., sez. lav., 21 ottobre 1986 n. 6180), salva la previsione di disposizioni contrattuali collettive che espressamente estendano la tutela di cui alla L. n. 604/1966 (Cass., sez. lav., 19
dicembre 1986 n. 7757). Ove, invece, tale recesso non intervenga, il rapporto di lavoro prosegue, a tempo indeterminato, caratterizzato esclusivamente dallo scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione;
2) il periodo di svolgimento dell’apprendistato, durante il quale il rapporto, pur nella sua specialità, è assimilabile all’ordinario rapporto di lavoro, (v. anche art. 2134 c.c.) per cui “non sussiste alcun razionale motivo per giustificare l’esclusione del rapporto di apprendistato dalla tutela” di cui agli artt. 1-8, 11-13 della L. n. 604/1966 ed in particolare degli artt. 6 e 8 (Corte Cost., 22 novembre 1973, n. 169).
Anche sulla base di tali ultime considerazioni, la citata sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 10 della L. n. 604/1966 nella parte in cui esclude gli apprendisti dall’applicabilità nei loro confronti della disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, nel corso del rapporto di apprendistato.
La pronuncia della Consulta ha, successivamente, trovato una coerente conferma nelle
previsioni di cui agli artt. 48, comma 3, lett. c) e d) e 49, comma 4, lett. c) ed e), D.Lgs. n. 276/2003, secondo le quali il contratto di apprendistato è caratterizzato dalla “possibilità per il datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato ai sensi di quanto disposto dall’art. 2118 del codice civile” ed al “divieto per il datore di lavoro di recedere
dal contratto di apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo”.
Alla luce di quanto sopra esposto, appare possibile ritenere l’apprendistato quale contratto di lavoro a tempo indeterminato, dal quale il datore di lavoro può recedere solo per giusta causa o giustificato motivo, anche anteriormente alla scadenza del termine per il compimento dell’addestramento, senza incorrere negli obblighi risarcitori caratteristici del recesso ante tempus previsti per il contratto a tempo determinato.
Non costituisce, tuttavia, legittima causa di licenziamento il mancato superamento della c.d. prova d’arte, prima della scadenza del termine previsto per l’apprendistato, dovendo proseguire il rapporto, sotto il profilo causale dell’addestramento teorico-pratico, fino al termine stabilito.

venerdì 13 novembre 2009

Nuova intesa antievasione Entrate, Anci e Ifel



Tre alleati per un obiettivo “in Comune” Team di esperti antievasione, formazione a tutto campo, check list per segnalazioni mirate e costante monitoraggio sui risultati dell’azione segnaletica dei Comuni. Sono i principali ingredienti del Protocollo d’intesa biennale firmato oggi da Agenzia delle Entrate, Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) e Ifel (Istituto per la finanza
e l’economia locale), realizzato con il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Un vero e proprio patto antievasione, con l’intento comune di dare nuova spinta alla
partecipazione degli enti locali all’accertamento. L’obiettivo dell’intesa è duplice:
uniformare il coinvolgimento dei Comuni “sentinella” in un’attività di controllo sempre più diffusa sul territorio e implementare strumenti e azioni che possano favorirla e accelerarla.
Scacco all’evasione con un piano in più mosse - L’intesa mette nero su bianco un
piano d’azione in più punti. Tra le priorità, definire una check list di fatti, elementi e informazioni che aiutino a predisporre segnalazioni qualificate direttamente utilizzabili per evidenziare comportamenti potenzialmente elusivi o evasivi. Non solo. L’Agenzia delle Entrate si impegna a realizzare dei corsi di formazione a cascata per il personale comunale, per favorire la partecipazione degli 007 locali all’accertamento. Particolare attenzione è dedicata alla diffusione di best practices riscontrate sul territorio, per favorirne la conoscenza e l’implementazione nelle altre realtà locali. Focus anche sulle
potenzialità del web e sullo studio di applicazioni informatiche utili per aumentare la qualità delle azioni che le parti in gioco possono concretamente realizzare in sinergia.
Un team antievasione al lavoro - Otto esperti altamente qualificati, provenienti per
metà da Anci ed Ifel e per l’altra metà dall’Agenzia delle Entrate, rispettivamente
specializzati nei processi di verifica e accertamento comunale ed erariale, banche dati e informatica, costituiranno il gruppo di lavoro che contribuirà, con incontri periodici dedicati, a definire le linee guida per la realizzazione degli obiettivi dell’intesa. In particolare, nella prima riunione verrà stilato un vero e proprio action planning, con un’agenda degli incontri, delle questioni all’ordine del giorno e delle priorità da affrontare.
Fonte Agenzia Entrate

giovedì 12 novembre 2009

Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali - Circolare 10.11.2009, n. 33



Oggetto: provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale di cui all'art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008 -
modifiche apportate dall'art. 11 del D.Lgs. n. 106/2009.
Dal 20 agosto u.s. è entrato in vigore il D.Lgs. n. 106/2009, recante "Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81". Tra gli istituti di maggior rilievo, ai fini dello svolgimento dell'attività di vigilanza, si segnala l'art. 11 del predetto D.Lgs. n. 106, che modifica significativamente la
disciplina del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale già contenuta nell'art. 14 del c.d. T.U. sicurezza.
Il provvedimento di sospensione, sebbene finalizzato "a far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori", evidenzia contestualmente profili di carattere sanzionatorio legati sia ad un "impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria", sia a condotte che reiterano
gravi violazioni "in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro".
Partendo da tale considerazione si ritiene quindi opportuno delineare compiutamente gli interventi modificativi al podere di sospensione, fornendo altresì un quadro unitario delle indicazioni di cui occorretener conto per una corretta applicazione della disciplina. In tal senso si devono pertanto ritenere superate le indicazioni già fornite in materia con precedenti circolari e lettere circolari (circ. n. 29/2006, lett. circ. 22 agosto 2007, circ. n. 24/2007, circ. n. 30/2008), da considerarsi utili solo con riferimento ai provvedimenti emanati sino al 19 agosto u.s.
I soggetti affidatari del potere
In ordine alla individuazione dei soggetti affidatari del potere di sospensione la prima modifica sostanziale da parte del D.Lgs. n. 106/2009 è l'attribuzione della competenza alla adozione del provvedimento interdittivo. non già al personale ispettivo, ma agli organi ili vigilanza di questo Ministero e delle AA.SS.LL.
Ciò comporta che titolare del potere è la struttura e cioè "l'Ufficio" da cui dipendono i funzionari ispettivi, Ufficio che in virtù del rapporto interorganico esercita detto potere mediante il proprio personale ispettivo.
Il potere di sospendere una attività imprenditoriale è anzitutto previsto qualora il personale ispettivo di questo Ministero riscontri la presenza sul luogo di lavoro di lavoratori "in nero" nonché "in caso di gravi e
reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro" (si ricorda che è stata abrogata dall'art. 41 del D.L. n. 112/2008, conv. da L. n. 133/2008, l'ipotesi di sospensione legata alla reiterata violazione della disciplina sui tempi di lavoro).
In forza dell'art. 14, comma 11, inoltre, l'accertamento sulla violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro deve avvenire "nel rispetto delle competenze in tema di vigilanza". In sostanza, pertanto, per il personale ispettivo di questo Ministero è possibile sospendete a fronte di violazioni della
normativa prevenzionistica in quegli ambiti in cui lo stesso personale ha competenza all'accertamento.
Tali ambiti, già individuati dal D.P.C.M. n. 412/1997 sulla scorta dell'art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 626/1994, sono ora individuati dall'art. 13, comma 2, del T.U. secondo il quale: la competenza del personale ispettivo del Ministero del lavoro è relativa ai seguenti ambiti:
"a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare lavori di costruzione, manutenzione, riparazione demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e
smontaggio di elementi prefabbricati; lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l'impiego di esplosivi;
b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei;
c) ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta dei Ministri dei lavoro e della previdenza sociale, e della salute (...) in relazione alle quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale
svolge attività di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (...)".
Evidentemente il personale ispettivo delle AA.SS.LL., in virtù di una competenza di carattere generale in materia di salute e sicurezza, può adottare il provvedimento di sospensione anche in ogni altro ambito o settore merceologico.
"Discrezionalità" del provvedimento
Il D.Lgs. n. 106/2009 mantiene la natura "discrezionale" del provvedimento, giacché è previsto che "gli organi di vigilanza (...) possono adottare provvedimenti di sospensione". Al riguardo occorre anzitutto precisare che tale "discrezionalità" - nei termini di seguito indicati - investe entrambe le ipotesi di adozione
del provvedimento (impiego di lavoratori "in nero" e gravi e reiterate violazioni prevenzionistiche).
Ciò premesso, si ritiene che il provvedimento di sospensione debba essere "di norma" adottato ogni qual volta ne siano accertati i presupposti, salvo valutare circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell'opportunità, di non adottarlo.
Tali circostanze sono anzitutto legate ad esigenze di salute e sicurezza sul lavoro. In altre parole, laddove la sospensione dell'attività passa determinare a sua volta una situazione di maggior pericolo per l'incolumità dei lavoratori o di terzi è opportuno non emanare alcun provvedimento. In tal senso va dunque
precisato che il provvedimento non va adottato quando l'interruzione dell'attività svolta dall'impresa determini a sua volta una situazione di pericolo per l'incolumità dei lavoratori della stessa o delle altre imprese che operano nel cantiere (si pensi, ad esempio, alla sospensione di uno scavo in presenza di una
falda d'acqua o a scavi aperti in strade di grande traffico, a demolizioni il cui stato di avanzamento abbia già pregiudicato la stabilità della struttura residua e/o adiacente o, ancora, alla necessità di ultimare eventuali lavori di rimozione di materiali nocivi).
Va poi attentamente valutata l'opportunità di adattare il provvedimento di sospensione in tutte quelle ipotesi in cui si venga a compromettere il regolare funzionamento di una attività di servizio pubblico, anche in concessione (ad es. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica, acqua, luce, gas ecc.),
così pregiudicando il godimento di diritti costituzionalmente garantiti. Una possibile limitazione all'esercizio di tali diritti trova invece giustificazione laddove il provvedimento di sospensione per gravi e reiterate
violazioni della normativa in materia di sicurezza sia funzionale alla tutela del primario costituzionale alla salute di cui all'art. 32 cost.
In relazione alla sospensione dell'attività imprenditoriale per impiego di lavoratori "in nero", in considerazione delle evidenti ripercussioni socio-economiche che il provvedimeli determinerebbe, si ritiene invece opportuno non adottarlo quando lo stesso rechi un grave danno agli impianti o alle
attrezzature (ad es. attività a ciclo continuo) ovvero ai beni (ad es. frutti giunti a maturazione o allevamento animali).
Rispetto a quanto sopra va aggiunto che il nuovo comma 11-bis dell'art. 14 pone un vero e proprio limite alla adozione del provvedimento di sospensione - peraltro in pena sintonia con quanto già delineato nella
Direttiva del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 18 settembre 2008 - laddove stabilisce che il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare non si applica nel caso in
cui il lavoratore "in nero" risulti l'unico occupato dall'impresa. Va tuttavia chiarito che, in tale ipotesi, l'eventuale accertamento circa l'impiego di un lavoratore "in nero", pur non consentendo l'emanazione del
provvedimento di sospensione, comporterà l'allontanamento del lavoratore stesso sino al momento in cui il datore di lavoro non abbia provveduto a regolarizzare la posizione, anche e soprattutto sotto il profilo della sicurezza (ad es. visite mediche, formazione e informazione). Si precisa infine che per lavoratore
"occupato" si intende qualsiasi prestatore di lavoro, anche autonomo, a prescindere dalla tipologia contrattuale utilizzata (es. collaboratore familiare, socio lavoratore, associato in partecipazione con apporto di lavoro ecc.).
I presupposti per l'adozione del provvedimento
I presupposti per l'adozione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale, secondo quanto già delineato in termini di competenza, sono l'impiego di lavoratori "in nero" oltre una determinata percentuale o le "gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro".
A) L'impiego di lavoratori "in nero"
Anzitutto l'art. 14 del T.U. prevede la possibilità, per il solo personale ispettivo del Ministero del lavoro, di adottare il provvedimene di sospensione dell'attività imprenditoriale qualora si risconti "l'impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in mistura pari o superiore al 20 per cento del
totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro".
La previsione - contenuta, seppure con formulazione parzialmente diversa, già nell'art. 16-bis del D.L. n. 223/2006 - conferma la nozione di lavoratore "in nero" quale lavoratore "sconosciuto alla P.A.". In tal senso, il lavoratore "in nero" e dunque quel lavoratore impiegato senza preventiva comunicazione di
instaurazione del rapporto di lavoro al Centro per l'impiego ovvero previa comunicazioni ad altri Enti come richiesto dalla specifica tipologia contrattuale (v. ad es. lavoro accessorio).
Va peraltro evidenziato che, anche per quanto riguarda il provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale, il requisito della subordinazione del rapporto non costituiste un elemento essenziale, in coerenza con il complessivo assetto del D.Lgs. n. 81/2008 che ha voluto dettare regole uniformi in
materia prevenzionistica prescindendo dalla tipologia di impiego dei lavoratori nell'impresa.
Pertanto potranno considerarsi irregolari:
- tutti quei lavoratori rispetto ai quali non è stata effettuata detta comunicazione al Centro per l'impiego ovvero non siano stati effettuati gli adempimenti previsti dall'art. 23 del D.P.R. n. 1124/1965 (come riformulato dall'art. 39, comma 8, del D.L. n. 112/2008) rispetto ai soggetti ivi indicati;
- nonché tutti i soggetti comunque riconducibili alla ampia nozione di cui all'art. 2, camma 1 lett. a), del D.Lgs. n. 81/2008 rispetto ai quali non si sia provveduto a formalizzare il rapporto, comprendendovi anche i soggetti che pur risultando indicati nella visura della CCIAA in quanto titolari di cariche societarie svolgono
attività lavorative a qualsiasi titolo, nonché i lavoratori autonomi occasionali (art. 2222 c.c.) non genuini per i quali dalla documentazione fiscale non si evinca che il versamento sia stato effettuato in loro favore.
In tal senso occorre dunque precisare che, rispetto ai soggetti beneficiari delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all'art. 18 della L. n. 196/1997 e rispetto agli allievi "degli istituti di istruzione ed
universitari ed i partecipanti ai corsi di formazione professionale (...)", stante l'assenza dell'obbligo di invio della comunicazione al Centro per l'impiego (V. note del 14 gennaio e 14 febbraio 2007), la corretta instaurazione del rapporto formativo è verificabile sulla base delle comunicazioni effettuate ai sensi
dell'art. 5 del D.M. 25 marzo 1998, n. 142; per quanto concerne i tirocinanti degli studi professionali è altresì possibile verificare la preventiva iscrizione all'Albo di riferimento.
Per quanto poi concerne il sistema di calcolo della percentuale del 20% sufficiente a consentire l'adozione del provvedimento di sospensione, l'art. 14 ha previsto che detta percentuale va individuata sul "totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro" al momento dell'accesso ispettivo (sia lavoratori "in nero" che
lavoratori regolarmente assunti). Pertanto, a titolo esemplificativo, nell'ipotesi in cui si rilevi in un'azienda la presenza di 10 lavoratori di cui 3 "in nero", la percentuale andrà calcolata su base 10 e non su base 7 (cioè i soli lavoratori regolari); ne risulterebbe pertanto che il numero di 3 lavoratori "in nero",
rappresentando il 30% del "totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, sarà sufficiente a consentire l'adozione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale.
B) Le "gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro"
L'adozione del provvedimento di sospensore è possibile altresì a fronte di "gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro" individuate con decreto di questo Ministero", sentito il Ministero dell'interno e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano.
In attesa della adozione del citato decreto, le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che costituiscono il presupposto per l'adozione del provvedimento di sospensione dell'attività
imprenditoriale sono quelle individuate nell'Allegato I al D.Lgs. n. 81/2008, allegato alla presente.
Il D.Lgs. n. 106/2009, al fine della applicazione del provvedimento di sospensione, stabilisce inoltre che "sia ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione dell'organo di vigilanza ottemperata dal contravventore o di una violazione accertata con
sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole".
In tal senso sarà cura del personale ispettivo verificare l'eventuale sussistenza di violazioni "della stessa indole" da parte del medesimo datore di lavoro, oggetto di prescrizione obbligatoria ovvero di sentenza passata in giudicato. Ne consegue che la presenza di "più violazioni" - pertanto almeno due, anche contestuali - nei cinque anni successivi rispetto alla prima violazione accertata - con prescrizione
obbligatoria ottemperata ovvero con sentenza definitiva - potrà dar luogo all'adozione del provvedimento di sospensione.
Ai sensi del novellato art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008, inoltre, sono da considerarsi "della stessa indole" le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse individuate, nelle more della adozione del decreto citato, nell'Allegato I.
Le violazioni da prendere in considerazione ai fini della Adozione del provvedimento, sono evidentemente tutte quelle commesse successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 106/2009 (20 agosto u.s.) - in osservanza del principio di legalità che, anche in tali casi, occorre richiamare - e riferibili alla medesima
impresa, indipendentemente dalla persona fisica sanzionata e che ha agito per conto della stessa.
Ha ultimo occorre segnalare che, a seguito di sospensione dell'attività imprenditoriale per violazioni in materia di salute e sicurezza e conseguente adozione del provvedimento di prescrizione obbligatoria,
potrà ritenersi comunque possibile la prosecuzione dell'attività per il tempo strettamente necessario alla eliminazione irregolarità accertate ed in adempimento della prescrizione stessa. In tali occasioni il personale ispettivo avrà evidentemente cura di indicare, nell'ambito della prescrizione, le cautele da
adottare in sede di ripristino delle misure di sicurezza.
Effetti del provvedimento
Gli effetti del provvedimento devono essere esaminati sia sotto un profilo "spaziale" che "temporale".
Secondo la nuova formulazione dell'art. 14, il provvedimento ha anzitutto effetto "in relazione alla parte dell'attività imprenditoriale interessate dalle violazioni". Gli effetti del provvedimento vanno dunque circoscritti alla singola unità produttiva, rispetto ai quali sono stati verificati i presupposti per la sua
adozione e, con particolare riferimento all'edilizia, all'attività svolta dall'impresa nel singolo cantiere.
Sotto il profilo temporale, invece, l'art. 14, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008 prevede che "in ogni caso di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare gli effetti della sospensione possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo avvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso
che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi".
Al riguardo è opportuno evidenziare che il differimento degli effetti può aversi nei soli casi di sospensione del lavoro "nero" - salvo le citate "situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi" - e non nei casi di violazioni prevenzionistiche, considerata la finalità che il
provvedimento assume in dette circostanze.
Va poi chiarito che, il "giorno lavorativo successivo" va inteso quale giorno di apertura dell'ufficio che ha emanato il provvedimento.
Adozione del provvedimento su "segnalazione"
L'adozione del provvedimento di sospensione può aversi "anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze". La precisazione del Legislatore delegato era già contenuta nell'art. 36-bis del D.L. n. 223/2006 (dove era previsto il coinvolgimento specifico di INPS e INAIL) e
nell'art. 5 della L. n. 123/2007. La (formulazione normativa va interpretata correttamente al fine di non vanificare lo spirito del potere di sospensione che rimane, almeno in parte, un potere di natura cautelare.
In tal senso va dunque chiarito che, a seguito della ricezione delle segnalazioni tempestivamente inviate (possibilmente via mail con scannerizzazione del verbale o via fax) da parte di altri soggetti pubblici che accertano la sussistenza dei presupposti per la sospensione dell'attività imprenditoriale, l'Ufficio può
adottare il provvedimento senza procedere ad ulteriori verifiche, purché non siano trascorsi più di sette giorni dalla data dell'accertamento. Al riguardo si coglie l'occasione per sollecitare la massima collaborazione degli Istituti affinché nelle segnalazioni medesime vengano specificati tutti i presupposti
per l'adozione del provvedimento, ivi compresi il numero e le generalità dei lavoratori "in nero" e di quelli presenti sul luogo di lavoro al momento dell'accesso ispettive.
Revoca del provvedimento
L'art. 14 del T.U. sicurezza, come modificato sul punto dal D.Lgs. n. 106/2009, prevede che il provvedimento di sospensione può essere revocato da parte dell'organo di vigilanza che lo ha adottato. In tale senso va subito precisato, pertanto, che la revoca del provvedimento compete all'Ufficio che lo ha adottato, anche mediante personale diverso da quella che ha emanato l'atto interdittivo previa verifica
della relativa documentazione.
È condizione per la revoca del provvedimento da parte dell'organo di vigilanza di questo Ministero:
"a) la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti (dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria;
b) L'accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni
della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
c) il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto a quelle di cui al comma 6 [secondo il quale "è comunque fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali, civili e amministrative vigenti"] pari a 1.500 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare e a 2.500 euro nelle ipotesi di sospensione per gravi e
reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Va quindi evidenziata la scelta del Legislatore di diversificare l'importo della somma da versare ai fini della revoca, a seconda che la stessa riguardi un provvedimento di sospensione adottato per lavoro irregolare
(euro 1.500) o un provvedimento adottato per violazioni prevenzionistiche (euro 2.500).
Qualsiasi sia il numero o la gravità degli illeciti che hanno dato luogo al provvedimento di sospensione, la somma per ottenere la sua revoca sarà dunque di euro 1.500 o di euro 2.500. Dette somme se legate alla revoca di un provvedimento adottato al personale del Ministero del lavoro, andranno ad incrementare il
Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del D.L. 148/1993 (conv. da L. n. 236/1993 e saranno destinate al finanziamento degli interventi di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare" individuati con il D.M. di cui all'art. 1, comma 1156 lett. g), della L. n. 296/2006.
Oltre al pagamento delle citate somme e altresì necessaria, ai fini della revoca, la regolarizzazione delle violazioni accertate.
In particolare per quanto riguarda la regolarizzazione delle posizioni lavorative "in nero"" occorre precisare che non potranno ammettersi le tipologie contrattuali che richiedono la forma scritta "ad substantiam", né il lavoro intermittente.
In tal senso, con specifico riferimento al settore dell'edilizia, si coglie l'occasione per ricordate che, configurandosi nella quasi totalità dei casi la violazione di obblighi puniti penalmente (almeno in riferimento all'omessa sorveglianza sanitaria ed alla mancata formazione ed informazione), il personale
ispettivo dovrà adottare il provvedimento di prescrizione obbligatoria relativo a tali ipotesi contravvenzionali e verificare, conseguentemente, l'ottemperanza alla prescrizione impartita.
Per quanto attiene alla regolarizzazione di lavoratori extracomunitari "clandestini" e di lavoratori minori illegalmente ammessi al lavoro, ferma restando l'impossibilità di una piena regolarizzazione, sarà comunque necessario provvedere al versamento dei contributi di legge ex art. 2126 c.c.
Va infine precisato che a regolarizzazione dei lavoratori interessati effettuata ancor prima della emanazione del provvedimento di sospensione - certamente possibile in caso di sospensione adottata a distanza di tempo dall'accertamento e di in particolare in caso di provvedimento emanato "su segnalazione delle amministrazioni pubbliche" - determinerà l'annullamento dello stesso in sede di autotutela.
Provvedimento sospensione e sequestro penale
Occorre inoltre precisare i rapporti tra il provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale ed il sequestro penale di cui agli artt. 354 e 355 c.p.p.
Al riguardo si ritiene che, qualora emergano le condizioni cautelari per l'adozione del provvedimento penale, il provvedimento amministrativo di cui all'art. 14 del T.U. sicurezza legato a violazioni prevenzionistiche non debba essere adottato, pur in presenza delle relative condizioni.
Ciò, evidentemente, laddove gli ambiti applicativi dei due provvedimenti coincidano (es. sequestro della totalità del cantiere oppure sequestro della zona di cantiere in cui opera l'impresa astrattamente destinataria del provvedimento di sospensione). Solo qualora gli ambiti applicativi dei provvedimenti in questione siano diversi (es. sequestro di un solo piano di un edificio in costruzione) ovvero nelle ipotesi in cui l'A.G. non convalidi il sequestro cautelare, sarà possibile adattare il provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale in presenza dei presupposti di legge, stante la natura anche sanzionatoria dello stesso.
Inottemperanza al provvedimento
Sia l'iniziale formulazione dell'art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008, sia quella che scaturisce dalle novità introdotte dal D.Lgs. n. 106/2009, prevedono una specifica sanzione in caso di inottemperanza all'ordine di sospensione. È infatti stabilito che "il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di
sospensione (…) è punito con l'arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate
violazioni in materia di tutela della salute e della Sicurezza sul lavoro e con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro nell'ipotesi di sospensione per lavoro irregolare".
L'inottemperanza al provvedimento di sospensione emanato per occupazione di lavoratori "in nero", in quanto sanzionata con pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, sembra potersi far rientrare nell'ambio applicativo della prescrizione obbligatoria di cui all'art. 301 del T.U., sicurezza, secondo il quale
"alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal presente decreto nonché da altre disposizioni aventi forza di legge, per le quali sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda, si applicano le disposizioni in materia di prescrizione
ed estinzione del reato di cui agli articoli 20, e seguenti, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758".
In ordine al suo contenuto, la prescrizione consisterà nel sospendere l'attività imprenditoriale sino ad avvenuta regolarizzazione dei lavoratori interessati. Va infatti evidenziato che la prescrizione in esame è legata necessariamente al raggiungimento del fine ultimo che il Legislatore ha inteso perseguire
nell'introdurre il potere di sospensione, istituto evidentemente "strumentale" ad una sollecita regolarizzazione delle violazioni accertate.
L'adempimento alla prescrizione obbligatoria, attraverso la regolarizzazione completa delle posizioni lavorative e l'ottenimento della revoca della sospensione attraverso il pagamento della somma aggiuntiva pari ad euro 1.500, consentirà pertanto l'ammissione al pagamento di 1/4 del massimo dell'ammenda pari
a euro 1.600.
Va da ultimo precisato che, per quanto riguarda l'inottemperanza al provvedimento di sospensione emesso per gravi e reiterate violazioni prevensionistiche, è prevista invece la sanzione dell'arresto sino a sei mesi, evidentemente non ammessa a prescrizione obbligatoria. In tal caso il personale ispettivo
provvederà esclusivamente ad informare l'A.G. della commissione del reato, ferme restando la possibilità, da parte dell'imputato, di richiedere al Giudice l'applicazione della procedura agevolativa di cui all'art. 302 del T.U. sicurezza.
Ricorsi avverso il provvedimene di sospensione
L'art. 14 del T.U. sicurezza prevede la possibilità di ricorrere, in via amministrativa, avverso provvedimenti di sospensione.
Sul punto il D.Lgs. n. 106/2009 non ha apporto modifiche, cosicché è ancora previsto che "avverso i provvedimenti di sospensione (..) è ammesso ricorso, entro 30 giorni, rispettivamente, alla Direzione regionale del lavoro territorialmente competente e al Presidente della Giunta regionale, i quali si pronunciano nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso. Decorso inutilmente tale ultimo termine il
provvedimento di sospensione perde efficacia".
Il Legislatore delegato non ha indicato espressamente i motivi che devono legittimale il ricorso, con ciò lasciando aperta la possibilità di impugnare il provvedimento sia per vizi di merito che di legittimità.
Va poi ricordata inoltre la previsione di una forma di "silenzio incidente": il mancato pronunciamento sul ricorso da parte della DRL o del Presidente della Giunta regionale - rispettivamente avverso ricorsi per provvedimenti emanati da personale ispettivo del Ministero del lavoro e da personale ispettivo delle AA.
SS.LL - entro il termine di 15 giorni comporta infatti la perdita di efficacia dell'atto interdittivo.
Provvedimento interidittivo alla contrattazione con le PP.AA.
L'art. 14 del T.U. sicurezza, come modificato dal D.Lgs. n. 106/2009, stabilisce che "l'adozione del provvedimento di sospensione è comunicata dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ed al Ministero delle
Infrastrutture e dei trasporti per gli aspetti di rispettiva competenza, al fine dell'emanazione, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche".
Il provvedimento interdittivo alla contrattazione con le PP.AA rappresenta un ulteriore strumento di carattere sanzionatorio, accessorio al provvedimento di sospensione legittimamente emanato.
Seconda tale disciplina, dunque, il provvedimento è comunicato o al Ministero delle infrastrutture, cosi come già previsto dall'art. 36-bis del D.L. n. 223/2006, ovvero alla Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e Forniture. La scelta del soggetto destinatario della comunicazione dovrà
evidentemente avvenire sulla base della attività svolta dall'impresa sospesa, in modo tale che possa essere emanato un provvedimento interdittivo di durata variabile.
La norma stabilisce al riguardo che la durata del provvedimento:
- è pari alla citata sospensione nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia inferiore al 50% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro;
- è incrementata di un ulteriore periodo di tempo pari ali doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni nel caso in cui:
a) la percentuale dei lavoratori irregolari sia pari o superiore al 50% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro;
b) nei casi di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
c) nei casi di reiterazione. In tale ipotesi la decorrenza del periodo di interdizione è successiva al termine del precedente periodo di interdizione.
Inoltre, "nel caso di non intervenuta revoca del provvedimento di sospensione entro quattro mesi dalla data della sua emissione, la durata del provvedimento è pari a due anni, fatta salvo l'adozione di eventuali successivi provvedimenti di rideterminazione della durata dell'interdizione a seguito dell'acquisizione della
revoca della sospensione".
Occorre dunque sottolineare che il provvedimento di interdizione alla contrattazione con le PP.AA. è strettamente legato alla effettiva durata del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale. Da ciò deriva che, qualora il provvedimento di sospensione, pur efficace, abbia durata pari a zero, la
comunicazione di cui sopra non sarà dovuta. Tate circostanza ricorre nelle ipotesi in cui agli effetti del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale siano stati differiti ai sensi del comma 11-bis dell'art. 14 e lo stesso sia stato revocato ancor prima del termine iniziale cosi individuato.
L'ambito di efficacia dei provvedimenti interdittivi alla contrattazione con le PP.AA., diversamente dal provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale, non può evidentemente non riferirsi all'impresa nel suo complesso e quindi ad ogni attività contrattuale posta in essere dalla stessa, nei confronti di
qualsiasi Amministrazione Pubblica. Sul punto, peraltro, occorre ricordare che la disposizione si sovrappone inevitabilmente ad altre forme di interdizione alla contrattazione con la P.A. introdotte dal Legislatore, fra le quali quella legata al rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC),
in assenza del quale non e possibile, fra l'altro, la partecipazione ad appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.