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venerdì 9 gennaio 2009

La Corte di Giustizia UE interviene sulle pensioni delle donne

I giudici europei condannano l'Italia per la normativa Inpdap sui dipendenti pubblici
È discriminazione pensione a età diversa secondo il sesso

(Corte di giustizia europea 13.11.2008)

È discriminatorio mantenere in vigore una normativa che consente che uomini e donne lavoratori pubblici vadano in pensione in età diverse: per questo la Corte di giustizia europea ha condannato l'Italia con una sentenza depositata il 13 novembre 2008. Ed è a questa sentenza che si è richiamato il 13 dicembre il ministro per la Pubblica amministrazione e l'innovazione Renato Brunetta quando ha proposto che anche le lavoratrici pubbliche vadano in pensione a 65 anni. Secondo i Trattati europei, l'Italia è tenuta ad adeguare le leggi e se non lo farà sarà soggetta a sanzioni.
Tutto nasce dalla legge 421 del 23 ottobre 1992 che definisce il regime pensionistico dei dipendenti pubblici e degli altri lavoratori del settore pubblico nonché ai lavoratori che in passato avevano prestato servizio per un ente pubblico. Tale regime pensionistico è gestito dall’Istituto nazionale della previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica («INPDAP»).
Ai sensi del decreto legislativo 1992, n. 503, i dipendenti pubblici hanno diritto alla pensione di vecchiaia nell’ambito del regime gestito dall’INPDAP alla stessa età prevista dal sistema pensionistico gestito dall’Istituto nazionale della previdenza sociale per le categorie generali di lavoratori: 60 anni per le donne e 65 per gli uomini.
La Commissione ha ritenuto che il regime pensionistico gestito dall’INPDAP sia un regime professionale discriminatorio e ha chiesto alla Corte di dichiarare che, mantenendo in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diversa a seconda se siano uomini o donne, l’Italia viola il principio della parità di trattamento (articolo 141 del Trattato CE).
L’Italia ha inutilmente contestato la posizione della natura professionale del regime pensionistico gestito dall’INPDAP. Nel determinare se una pensione prevista dalla legge, che lo Stato corrisponde ad un ex dipendente, rientri nel campo di applicazione dell’art. 141 CE oppure in quello della direttiva 79/7/CEE relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento fra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, la Commissione rinvia alla giurisprudenza della Corte ed i tre criteri che ne risultano: che essa interessi soltanto una categoria particolare di lavoratori, che sia direttamente funzione degli anni di servizio prestati e che il suo importo sia calcolato in base all’ultimo stipendio del dipendente pubblico. Non sarebbe sufficiente per escludere il regime dal campo di applicazione dell’art. 141 CE né che il regime pensionistico gestito dall’INPDAP sia disciplinato direttamente dalla legge, né che sia improntato all’obiettivo di politica sociale di tener conto delle regole del sistema pensionistico gestito dall’INPS riguardante categorie generali di lavoratori. Rileva invece che la pensione è versata dallo Stato in qualità di datore di lavoro.
L’Italia ha ancora contestato l’inadempimento addebitato facendo valere il carattere legale del regime pensionistico gestito dall’INPDAP. In secondo luogo, i limiti di età sono uniformemente stabiliti, sia per lavoratori iscritti all’INPS che per i lavoratori iscritti all’INPDAP. Pertanto, la normativa contestata manterrebbe, proprio in quanto conforme a quella applicabile alle categorie di lavoratori iscritti all’INPS, una valenza generale, tale da far considerare il regime pensionistico gestito dall’INPDAP come avente natura legale.
Ma la Corte non è stata d'accordo. L'argomentazione è la seguente: ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore e che per retribuzione si intende il salario di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo. Per valutare se una pensione di vecchiaia rientri nel campo di applicazione dell’art. 141 CE, soltanto la constatazione che la pensione è corrisposta al lavoratore, per il rapporto di lavoro che lo unisce al suo ex datore di lavoro, può avere carattere determinante. Gli argomenti dell’Italia, relativi al metodo di finanziamento dell’INPDAP, alla sua organizzazione ed alle prestazioni diverse dalle pensioni che esso conferisce, diretti a dimostrare che tale regime costituisce un regime previdenziale che non rientra nel campo di applicazione dell’art. 141 CE, non possono essere accolti.
Quindi i dipendenti pubblici che beneficiano del regime pensionistico gestito dall’INPDAP costituiscono una categoria particolare di lavoratori ed il fatto che esso si applichi anche ad altre categorie di lavoratori non può privare i dipendenti pubblici della tutela conferita. Per quanto riguarda gli altri due criteri (ossia che la pensione sia direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati e il suo importo sia calcolato in base all’ultima retribuzione), la Commissione deduce dalla relazione dell’INPDAP che la pensione viene calcolata con riferimento al numero di anni di servizio prestati e allo stipendio base percepito prima del pensionamento. Questo metodo risponde ai criteri accolti dalla giurisprudenza della Corte. Ne deriva - continuano i giudici - che la pensione versata in forza del regime pensionistico gestito dall’INPDAP deve essere qualificata come retribuzione.
Per quanto riguarda la condizione di età diversa a seconda del sesso, la Corte non ha accolto l'rgomentazione italiana che la fissazione di una condizione di età diversa a seconda del sesso è giustificata dall’obiettivo di eliminare discriminazioni a danno delle donne. Al contrario per la Corte, la fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione d’età diversa a seconda del sesso non compensa gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici donne e non le aiuta nella loro vita professionale né pone rimedio ai problemi che esse possono incontrare durante la loro carriera professionale. (15 dicembre 2008)

per maggiori informazioni o per richiedere copia della sentenza della Corte di Giustizia UE info@studiogennai.com oppure 0587/949935

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