Visualizzazioni totali

martedì 6 gennaio 2009

Finanziaria 2008 - Deducibilità interessi passivi

Deducibilità degli interessi passivi

1:
La finanziaria 2008 ha introdotto una rilevante modifica dell’Ires, ispirandosi – lato sensu – all’esempio della Germania dell’anno precedente. L’aliquota è stata ridotta di 5,5 punti, mentre la deducibilità degli interessi passivi (a parte le banche) viene limitata a quella parte degli interessi che non supera il 30% del mol (margine operativo lordo detto con acronimo inglese ebitda, cioè utili prima degli interessi, imposte e ammortamenti); lo scopo della limitazione della deducibilità è chiaramente quello di disincentivare il finanziamento a debito.
Tuttavia con questo meccanismo l’imposta presenta un aspetto pro-ciclico, nel senso che l’incidenza dell’imposta può aumentare quando l’economia rallenta e gli utili diminuiscono. Infatti in questo caso il mol si riduce e quindi l’ammontare massimo di interessi passivi deducibili scende anch’esso. Vero è che in questi casi di rallentamento, o di vera e propria recessione (come quella che stiamo vivendo), anche i tassi di interesse scendono, ma la riduzione degli utili, e quindi del mol è nettamente maggiore della riduzione degli interessi passivi.
Ovviamente se gli utili divengono negativi l’imposta non si applica e la perdita può essere riportata in avanti; il problema si presenta quando gli utili, pur riducendosi, rimangono positivi (o risultato positivi proprio per la non deducibilità di una parte degli interessi).
Un correttivo a questo effetto pro-ciclico può derivare dal fatto di rendere variabile – intorno al valore centrale del 30% - il limite della deducibilità; alla percentuale del 30% cioè si aggiunge, o si sottrae, un’altra percentuale variabile, tale per cui, quando l’economia rallenta rispetto al suo trend, la percentuale complessiva di deducibilità sale, e quando invece accelera si riduce.

2:
La regola della riforma Ires crea delle differenze tra imprese con roe (utili su capitale proprio) diversi o con rapporti ammortamento/capitale diversi. Facciamo un caso semplificato di un’impresa che usa capitale proprio e indebitamento per finanziare investimenti ammortizzabili (quindi niente attività finanziarie).
Se K è il capitale ammortizzabile, e d e 1-d le due quote di finanziamento a debito e con capitale proprio, r il rendimento sul capitale proprio (roe) ed a la quota degli ammortamenti sul capitale complessivo (ammortizzabile), i il costo del debito, il valore limite di d è dato dalla

(1) d = (r+a)/(i+ 0,429r)

Dove 0,429 è dato da 3/7 (cioè 30% diviso per il complemento ad uno).
Riporto qui l’andamento della quota limite (vuol dire che, se l’impresa sta sotto la curva, tutto l’interesse è deducibile) con un costo del debito al 7% e ammortamenti/capitale al 12%



Come si vede quando il roe scende la quota limite si riduce, accelerando la discesa. In sostanza quando le cose vanno bene non ci sono in genere problemi di deducibilità, ma quando vanno maluccio o male, allora la deducibilità è a rischio.
Un altro modo di vedere la cosa è chiedersi quale sia la quota di capitale proprio p che assicura che il rapporto tra interessi deducibili e interessi totali sia maggiore (o uguale) ad uno. Tale rapporto ρ è

(2) ρ = 0,429*(r*p +a)/i(1-p)

E nella tabella che segue si riportano i vari p che assicurano ρ =1 per dati r ed a (interessi passivi al 7%):


Quota minima necessaria di capitale proprio
Ammortamenti 10% Ammortamenti 8% Ammortamenti 12%
Roe 10% 25 32 17
Roe 5% 30 40 21
Roe 0 39 51 27


3:
In sostanza l’aspetto pro-ciclico risulta evidente; si può provare a correggere questo aspetto introducendo un meccanismo che renda variabile il limite del 30%. A questa percentuale si tratterebbe di aggiungere, o sottrarre, il seguente rapporto:
(1 – gt/γ)x
dove gt è il tasso di crescita reale del Pil dell’anno fiscale di riferimento, γ è la media dei tassi di crescita dei tre anni precedenti, x una percentuale fissa. Qualora il tasso di crescita dell’anno è pari alla media dei tre anni precedenti la componente variabile è nulla, e quindi il limite risulta pari al 30%; se il tasso di crescita dell’anno è più basso (alto) della media, allora il limite si alzerà (abbasserà). Nel grafico sotto riportato si può notare l’andamento del limite per 11 anni (1999-2010) ipotizzando tassi di crescita reali pari a -0,2 (2008), -0,8 (2009), +0,6(2010) per gli anni 2008-2010.


Come si vede il limite di percentuale deducibile oscilla con valori fino a 10 punti percentuali in su ed in giù. Pertanto negli anni in cui la crescita del Pil rallenta (e eventualmente scende a zero o meno), il limite si alza, ed il contrario avviene negli anni di maggiore crescita. Per fare un esempio con un roe azzerato, ammortamenti all’8% e tasso passivo al 7%, la quota di capitale proprio sufficiente per la deduzione piena degli interessi scende da 51% a 35%.

per maggiori informazioni info@studiogennai.com oppure fax 0587/949935

Nessun commento:

Posta un commento