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mercoledì 28 gennaio 2009

Condotta antisindacale

Nozione

L’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori disciplina il procedimento diretto a reprimere la condotta antisindacale dei datori di lavoro, quella condotta cioè che lede, impedisce o limita l’esercizio della libertà o dell’attività sindacale e del diritto di sciopero.
Si considera antisindacale il comportamento del datore di lavoro oggettivamente idoneo ad impedire e/o limitare la libertà sindacale (Cfr. Cass., 12 agosto 1993, n.° 8673; Cass., 13 agosto 1991, n.° 8815; Cass., 3 settembre 1991, n.° 9341; Cass., 26 ottobre 1991, n.° 11442), sia nell’ipotesi in cui vengano violati diritti attribuiti al sindacato da norme di legge, sia nel caso in cui vengano lese posizioni soggettive che trovano la loro fonte nella contrattazione collettiva.
L’indeterminatezza della categoria dei comportamenti antisindacali del datore di lavoro risponde allo scopo di ricomprendere all’interno della stessa una molteplicità di comportamenti datoriali che possono definirsi antisindacali.

Condotta plurioffensiva
Il comportamento antisindacale del datore di lavoro può concretarsi nella c.d. condotta plurioffensiva, ogniqualvolta la violazione di clausole del contratto collettivo vada a ledere sia il diritto del singolo lavoratore che quello del sindacato.
Esempio di condotta plurioffensiva può essere il caso del licenziamento del lavoratore a causa della sua partecipazione all’attività sindacale, oppure la violazione dei diritti retributivi dei lavoratori partecipanti ad uno sciopero.
Nelle suddette ipotesi possono proporsi due giudizi, separati ed indipendenti tra di loro e senza alcun nesso di pregiudizialità, l’uno per la repressione della condotta antisindacale e l’altro per la tutela della posizione individuale lesa da tale condotta.
Conseguentemente sarà possibile una difformità di giudizi e di provvedimenti i cui effetti si produrranno indipendentemente l’uno dall’altro.

Accertamento della condotta antisindacale
Ai fini dell’accertamento della condotta antisindacale non è necessaria l’effettiva lesione della posizione soggettiva del sindacato, essendo sufficiente il solo pregiudizio potenziale arrecato al ruolo del sindacato dalla condotta denunciata (Cass., 3 settembre 1991, n.° 9341).
Sul problema della necessità o meno dell’intenzionalità della condotta le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno definitivamente affermato che per essere valutata come antisindacale è sufficiente che la condotta del datore di lavoro abbia oggettivamente leso la libertà sindacale o il diritto di sciopero senza essere necessario uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro (Cfr. Cass., S.U. 12 giugno 1997, n.° 5295).

Attualità della condotta antisindacale
L’azione può essere intrapresa e sussiste ancora l’interesse ad agire anche dopo che sia trascorso un lungo periodo dall’inizio della condotta antisindacale, purché il comportamento illegittimo sia ancora in atto e ne permangano gli effetti lesivi all’atto della proposizione del ricorso (Cfr. Cass., 16 febbraio 1998, n.° 1600; Cass., 2 settembre 1996, n.° 8032; Cass., 9 febbraio 1991, n.° 1364; Cass., 8 maggio 1990, n.° 3780).
La necessità dell’attualità della condotta lesiva pone il problema, in relazione a tutti quei comportamenti che cessano istantaneamente nel momento in cui vengono posti in essere, dell’ammissibilità della cosiddetta “condanna in futuro” , quella che ordina al datore di lavoro di astenersi in futuro dal tenere lo stesso comportamento lesivo denunciato.
La giurisprudenza ritiene ammissibile l’emissione di un simile provvedimento ogniqualvolta le circostanze lascino presagire che il datore di lavoro possa ripetere i comportamenti lesivi che abbiano già cessato i loro effetti (Cass., 2 settembre 1996, n.° 8032; Cass., 20 novembre 1997, n.° 11573).

Legittimazione attiva
Sono legittimati ad agire gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse.
Sul requisito della dimensione nazionale sono sorte diverse questioni di legittimità costituzionale, con riferimento in particolare agli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione.
La Corte costituzionale ha affermato che detto requisito dimensionale non è contrario alla Costituzione, precisando altresì che l’attribuzione della legittimazione ai sindacati nazionali risponde allo scopo di privilegiare quegli interessi collettivi che sono frutto di una sintesi operata da soggetti che rappresentano un largo strato di lavoratori (Cfr. sentt. n.° 334/1988 e 89/1995).
La Corte di Cassazione a sezioni unite ha stabilito che legittimati ad agire sono i sindacati provinciali di categoria in quanto rappresentano le articolazioni più periferiche del sindacato ed in quanto tali maggiormente vicine alle situazioni lavorative da tutelare (S.U., 17 marzo 1995, n.° 3105; Cass., 17 giugno 1998, n.° 6058).
Non sono legittimati gli organismi intermedi, ma solo quelli che si trovano per competenza territoriale in relazione immediata con l’impresa stessa e soltanto per la tutela di quei diritti che risultano lesi nei luoghi di lavoro da parte dei datori di lavoro e non per una tutela delle associazioni sindacali nazionali.
Sono altresì esclusi i sindacati che non hanno nel proprio statuto un carattere nazionale, le RSA in quanto risultano essere forme spontanee di aggregazione dei lavoratori di una unità produttiva.
E’ ammissibile l’intervento nel procedimento del lavoratore che abbia interesse, in quanto si tratta di un intervento che va ad aggiungersi all’azione del sindacato senza ampliare l’oggetto del procedimento.

Legittimazione passiva
Il solo datore di lavoro è legittimato passivo all’azione ex art. 28, legge n.° 300/1970 inteso estensivamente per ricomprendere tutti quei soggetti che si trovano in una posizione tale all’interno dell’azienda da porre in essere comportamenti antisindacali.
Devono invece considerarsi escluse le associazioni imprenditoriali.
Si considerano ricomprese anche le cooperative di produzione e lavoro e le società per azioni in liquidazione.

Giudice competente
E’ competente il tribunale in composizione monocratica del luogo ove è stato posto in essere il comportamento antisindacale del datore di lavoro, non rileva pertanto, ai fini dell’individuazione del giudice competente, il luogo in cui è stata deliberata la condotta antisindacale, né quello, diverso, in cui si sono prodotti gli effetti (Cfr. Cass., 24 giugno 2000, n.° 8647).

Il procedimento
E’ caratterizzato dalla celerità e dall’informalità in quanto si basa su “sommarie informazioni” e non su prove ritualmente assunte.
All’esito del procedimento il giudice emette decreto motivato ed immediatamente esecutivo con il quale si ordina la cessazione della condotta antisindacale e la rimozione degli effetti della stessa.
Entro quindici giorni dalla comunicazione dello stesso alle parti, la parte soccombente può proporre opposizione di fronte allo stesso tribunale.
Il giudizio di opposizione così instaurato segue le regole dettate dagli artt. 414 e segg. c.p.c per il processo del lavoro e si conclude con sentenza immediatamente esecutiva.
L’inottemperanza del datore di lavoro al decreto o alla sentenza che condannano lo stesso alla cessazione e rimozione degli effetti della condotta antisindacale configura il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità ed è punito ai sensi dell’art. 650 c.p.
La sentenza penale di condanna viene pubblicata ai sensi dell’art. 36 c.p.

per maggiori informazioni info@studiogennai.com oppure fax 0587/949935

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